Poco più di venti minuti. Tanto è durata l’asta per riportare a casa il nome e il simbolo della Reggina, da tempo strappato dalle maglie degli amaranto e confinato nelle mani dell’ennesima curatela fallimentare. Sulle ceneri della squadra lasciata affondare in oceani di debiti da Felice Saladini e (prima di lui) da Luca Gallo, e ripresa per i capelli l’estate scorsa dalla società guidata da Nino Ballarino, rinasce quindi la Reggina che finalmente potrà rimettersi sul petto, la grande R con il pallone vintage e che finalmente, potrà lasciarsi alle spalle quel nome infelice che ha accompagnato la squadra in questi ultimi 12 mesi.

Finisce così, al costo di 125 mila euro, la telenovela su storia, identità e tradizione che ha avvelenato l’ultima stagione calcistica, trascinandosi in polemiche surreali che hanno diviso la tifoseria e spaccato l’ambiente. Una polemica folle – prima di mercoledì nessuno avrebbe potuto fregiarsi del nome e del marchio storico del club – in cui sono entrati a piedi uniti consiglieri comunali alla ricerca spasmodica di luce riflessa, sindaci con il pallino del calcio e un debole per le tornate elettorali imminenti, e altri personaggi in cerca d’autore che, almeno a parole, pretendevano di avere voce in capitolo.
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