Al via la settimana in cui i figliol prodighi sconnettono Netflix per tornare sotto la gonna di mamma Rai che coincide paradossalmente con l’anniversario della pandemia Covid
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La palla dell’unità d’Italia da Sergio Mattarella passa ad Amadeus. Sono anni inenarrabili per il Paese ed il festival di Sanremo, la settimana in cui i figliol prodighi sconnettono Netflix per tornare sotto la gonna di mamma Rai (che raccoglie le anime disperse nel partito unico dell’Auditel), coincide paradossalmente con l’anniversario della pandemia, la bomba sociale più importante della storia contemporanea.
La settimana del Quirinale ha descritto perfettamente la situazione di caos in cui annaspiamo e l’epilogo (il ritorno al passato quale unico futuro possibile) è stato il lancio perfetto per il settantaduesimo festival della canzone italiana che rinnovandosi ogni anno per restare uguale a se stessa avrà l’arduo compito di terminare ciò che il presidente della Repubblica ha iniziato: rassicurare gli italiani facendoli sentire di nuovo nazione e non ultras di tifoserie avversarie. E, se possibile, risanare una volta per tutte l’insostenibile frattura che divide i cittadini in vax e no-vax e riportare tutto in condizioni di normalità: quelli che guardano Sanremo contro quelli che si vantano di non guardarlo. In fondo gli uni si nutrono degli altri.
In sintesi, Mattarella bis e Amater partono dagli stessi presupposti: scoglionamento dei due a parte (entrambi avevano ampiamente proclamato di essere indisponibili a ulteriori mandati), l’incapacità totale di rinvenire successori. E sono chiamati a medesime missioni: incollare i cocci di un vaso scoppiato attraverso l’inno nazionale (che più che quello di Mameli è ormai la sigla dell’Ariston). Meglio se diretta dalla bacchetta di Vessicchio, presidente emerito della semana santa dei teledipendenti che il maestro, è confermato, celebrerà: tampone negativo, Alleluia Alleluia! A onor di cronaca il trova-Vessicchio - un festival senza lui è come un Angelus senza Papa - è un tormentone antecedente alla pandemia ma il quiz su chi c’è e chi no caratterizzerà l’intera l’edizione che non prevede catafalchi lazzaretto, come a Montecitorio, ma prove generali registrate in abiti di scena per dare modo a chi durante la settimana dovesse malauguratamente contagiarsi di concorrere via clip (vedi Irama 2021) ma con dresscode ufficiale (le case di moda, i veri big in gara, ringraziano).
Resta un nodo da sciogliere per il direttore artistico.
Come premesso, sono due anni che la parabola festivaliera s’intreccia con quella pandemica. Inutile negare quanto in qualche modo, se non lo spettacolo, gli ascolti ne abbiamo tratto giovamento (tutti chiusi in casa s’è presto tradotto in tutti incollati alla tv), c’è un però, tuttavia, da tenere in considerazione: due anni di fila di domiciliari non trascorrono certo senza lasciar traccia. La cancellazione di vita sociale ha radicalmente mutato le abitudini delle persone, cavalcando il leit motiv del ritorno al passato: gli italiani vanno di nuovo a letto dopo Carosello. Le ultime edizioni del festival, di contro, si sono caratterizzate per la polarizzazione in fascia notturna. Gli autori avranno tenuto in considerazione il mutato fuso orario dei telespettatori o anche quest’anno (per acchiappare più sponsor) persevereranno nell’accanimento terapeutico su ogni puntata?
Sì che Sanremo è una forma di masochismo ma se chiuderà alle 3 di notte, a guardarlo resteranno i conduttori e l’impresa di pulizia dell’Ariston. E l’anno prossimo altro che Amadeus, per rianimarlo servirà un democristiano certificato. Pare che Casini stia già prendendo le misure dello smoking…