In questo secondo giro di boa, i ricordi si sollevano di rango. Quelle Pasquette a smadonnare sulla Statale, di rientro dal mare, l’odore dei Cuki con i resti degli ziti al forno attaccati ai bordi, la salivazione azzerata dal vino un tanto al litro, si sono trasfigurate, nella nostra immaginazione, in momenti di gloria da lucciconi agli occhi.

Adesso siamo qui a guardare la primavera che ci saluta con la manina da lontano, da terrazzi molto meno colorati e più arrabbiati di un anno fa, e allora meglio affidarsi al divano, che non tradisce mai, e a qualcosa da vedere in tv che riempia il grande pomeriggio da sobri (o quasi) senza l'odore della brace tra i capelli.

Due film da Oscar

“La Tigre Bianca”, in corsa per gli Oscar 2021 nella categoria “miglior sceneggiatura non originale” lo trovate su Netflix. È ambientato in India e racconta l’escalation di un ragazzo poverissimo che riesce a diventare autista (e servitore) di una famiglia molto importante. Il film è scritto e diretto da Ramin Bahrani (Fahreineit 451). Il plot è interessante e le atmosfere indiane (musica compresa) hanno il loro fascino, forse manca una spinta in più, specie nel finale caricato a pallettoni e che non esplode come potrebbe. Se avete amato “Parasite” vi piacerà.

“Processo ai Chicago 7”. Aaron Sorkin racconta per Netflix il processo farsa dell’inchiesta che portò alla sbarra 8 ragazzi, tutti accusati di essere stati i fomentatori dei sanguinosi disordini di Chicago del 1968. Il film ha fatto incetta di nomination all’Oscar 2021, tra cui quello come miglior film, ed è scritto meravigliosamente. Il racconto è sincopato e colpisce come un pugno allo stomaco. A guardarlo il ricordo corre al nostro caso Diaz. Spostate i tavolini e le tazzine, vi farà male da morire.

Per ingannare la mente

Con “Sto pensando finirla qui” siamo dalle parti visionarie di Lynch, disseminate dalle schegge di follia di Charlie Kaufman, già sceneggiatore di “Essere John Malkovich” e “Se mi lasci ti cancello”. L’opera è tratta dal romanzo d’esordio dello scrittore canadese Ian Reid (Rizzoli), già diventato un cult. La storia, infarcita di paradossi e aritmie, è un continuo saltello temporale tra quello che è, che è stato e sarebbe potuto essere, e ci spinge negli anfratti più nascosti del nostro subconscio e lì gioca a scacchi con la nostra mente. Insomma perdersi nel labirinto di Kaufman è una follia che non si può evitare. Non si deve evitare. Appuntamento su Netflix.

Per i serial-addicted 

Il bello deve ancora arrivare in questa stagione. I recuperi sono d’obbligo in attesa dei nuovi epidosi di “Handsmaid’s tale” (29 aprile su TimVision), “Succession” (nei prossimi mesi, ancora non c’è una data certa), “Billions”. Intanto da non perdere “Your honor” (Sky), “Terror” (ma solo la prima stagione, su Amazon Video) e “Unbelieveble” (Neflix). Se amate il surreale su Amazon c’è una perla preziosissima: “Tales from the loop”, un dipinto onirico, magnificamente tinto di irrealtà e costruzioni brutali. Piacerà ai folli amanti di “Dark”, agli addicted della fantascienza distopica, agli amanti della fotografia vintage (e della sottoesposizione), ai nostalgici de “L’arte del sogno” di Gondry.

L’Apocalisse secondo i padri 

Padri e figli e intorno un mondo che crolla. Orientarsi nel genere post-apocalittico non è semplice, la paccotiglia è sempre dietro l’angolo, quindi ecco tre consigli per andare a colpo sicuro, commuoversi e (in un caso) sorprendersi.

Partiamo da “The Road” (su Amazon), tratto dal capolavoro di Cormac McCarthy. Un padre e un figlio, sono sopravvissuti a una catastrofe che ha trasformato il mondo in un luogo ostile, soffocato da un inverno senza fine. Attraversano gli Stati Uniti cercando di sfuggire alla morsa del gelo e della fame, a un’umanità abbrutita, trascinando un carrello arrugginito pieno di stracci. Nel cast Viggo Mortenses, che ci regala una splendida figura di padre disperatamente innamorato di suo figlio, alla macchina da presa John Hillcoat (già regista di “Black Mirror”). Le riprese sono state effettuate sui luoghi realmente devastati dall’uragano Katrina. Brividi.

In “Light of my life” Casey Affleck dirige e si ritaglia un ruolo cucito alla perfezione sul suo stile interpretativo sempre molto minimo. Casey (e in “Manchester by the sea” l’ha ampiamente dimostrato) ha questa straordinaria capacità di tagliarti in due senza muovere un muscolo. In questo film è un padre che cerca di proteggere sua figlia Rag da un mondo devastato in cui le donne rischiano l’estinzione. Da guardare con la scatola dei Kleenex vicina vicina.

Ed ecco la sorpresa. Mr. Arnold Schwarzenegger diventa un tenerissimo padre nel film post-apocalittico “Contagious” (presentato al blasonato Tribeca nel 2015). In un mondo dove un virus sta trasformando gli esseri umani in zombie, un padre cerca di restare vicino a sua figlia, nel modo migliore in cui può farlo, tentando di metterla al riparo dalla gente, da se stessa. Ad Arnold, che ci ha regalato anni di puro intrattenimento, vogliamo bene a prescindere, ma dopo questo film, gliene vogliano ancora di più.

Per sdrammatizzare

Per chi proprio di serie non ne può più, ama il surreale, il grottesco, e ha un buon bagaglio di comedy (e un discreto chilometraggio di horror) non può lasciarsi sfuggire il film: “What we do in the shadows”. Lo stile del film (figlio del Sundance, e si vede) è quello del finto documentario (mockumentary) girato in una casa abitata da un gruppo di vampiri con l’aria da universitari fuori corso. Occhio a non perdere le microbattute, quelle che rimbalzano quasi sottovoce, sono le più belle. Lo trovate in programmazione su Sky.

Sullo stesso filone, ma in versione seriale, un prodotto di nicchia, talmente di nicchia che non ha un finale, o meglio ce l’ha ma a metà. La produzione, durante le riprese, all’improvviso ha realizzato di non avere più soldi per chiudere il cerchio della storia, quindi preparatevi a rimanere un po’ sospesi. Il perché negli Usa abbiano deciso di tagliare le gambe a questa perla, è un mistero. Parliamo di “The Last man on the earth”. Si ride, tanto. C’è idiozia diffusa, tanta. E sono tutti bravissimi. Solo una postilla: alla fine vi mancherà.

Le serie da evitare!

Ed eccoci alle serie da evitare come la peste.

Podio per “Speravo de morì prima”. Sospeso tra farsa e ultrafarsa, lambito da un’acquetta insipida che puzza di operazione furbissima riuscita malissimo, la serie su Francesco Totti è il classico tonfo con botta finale in cui il registro dell’ironia si distorce nel ridicolo puro al 100%. Questa serie è un sottoprodotto scaduto ancora prima di essere imbottigliato, senza arte né parte, senza colore, interessante neanche alla lontana, che non fa altro che farsi beffe dello stesso protagonista. Alla fine uno pensa: ma veramente hanno fatto una serie su un uomo ancora giovane, piacente, con una bellissima moglie, giovane, piacente, con figli splendidi, che ha in cassa milioni di euro, che è sempre in tv, che scrive libri, che è famoso, amatissimo, che è andato in pensione l’altro ieri il cui unico dramma è un allenatore un po’ col dente avvelenato a cui fa i dispetti? Dov’è il problema? Perché me la sto guardando?

Nota a margine: per seguire tutto, se proprio ci tenete, consiglio di attivare i sottotitoli perché non solo Pietro Castellitto mormora tipo rosario del vespro, ma lo fa in romano stretto, al massimo spegnete proprio l’audio, tanto è uguale.

Seconda visione che si può serenamente cancellare dalla lista è “Che fine ha fatto Sara?”. Nonostante la serie messicana sia alta nella classifica Netflix, e nonostante sia arrivato il rinnovo per la seconda stagione, questo crime ha più buchi di una groviera. La storia proprio non sta in piedi, appare debolissima proprio nella zona motore del plot. Nel complesso sembra una squadra di Eccellenza che aspira a vincere il campionato di serie A. Insomma, ci ha provato, ma più che toccare palla non è riuscita.