Adriana è in un corpo di confine, lo distingue come alieno. Chiede al cielo di ripararlo, chiede a sua madre perché è stata creata “rotta”. Emanuele Crialese (“Respiro”, “Terraferma”) regala al cinema “L’Immensità”, presentato al festival di Venezia, un ritratto colorato, a tratti dolente, che attinge da un lato della sua vita fino a questo momento tenuto nascosto al pubblico.

Siamo a Roma, nel petto degli anni 70, qui si consumano i tormenti dei Borghetti, una famiglia che sembra una delle tante, in un’Italia che cambia e canta Patty Pravo e Adriano Celentano. Clara e Felice sono una coppia spaccata ma di separarsi non se ne parla, lui dice no, si salvino le apparenze. Lei (Penelope Cruz) lotta contro l’aria zavorrata di questo matrimonio di cartongesso mentre osserva sua figlia combattere per comprendere la propria sessualità diversa da quella che indossa per nascita.

“L’Immensità” ha ricevuto grandi applausi a Venezia e ora sta ricevendo consensi anche al box office. Nel cast anche due bravi attori calabresi, coppia nella vita: Carlo Gallo (che ha fatto anche da acting coach ai bimbi protagonisti) e Rita De Donato, diventati genitori da poco.

Carlo ha trentasette anni, gestisce a Crotone il teatro della Maruca che ha costruito, mattone su mattone, con suo fratello che fa il burattinaio. Sa che agguantare il grande sogno a volte è l’impresa di un folle «o di un artista, vai a sapere la differenza. Io sono figlio di nessuno artisticamente, i miei genitori non mi hanno mai portato al cinema o al teatro. Ho iniziato forse per scappare da qualcosa».

C’è stata una rivelazione, una specie di chiamata alle armi?

«Nessuna luce dall’alto. Studiavo all’Unical “Scienze della comunicazione”, facevo già un po’ di teatro amatoriale con gli amici, poi ho incontrato Max Mazzotta, Rosa Masciopinto, Alvaro Piccardi, in laboratori organizzati tra l’Università e il Teatro Stabile di Calabria, lì mi sono detto: devo cambiare strada».

E dove l’ha portata quella nuova strada?

«A Udine. Lì sono stato accettato all’Accademia d’arte drammatica e ho capito che c’era tanto lavoro da fare. Ormai sono quindici anni che faccio questo mestiere e solo ora stanno accadendo delle cose».

Cose che hanno anche l’impronta di Emanuele Crialese.

«È stato quasi un segno divino riuscire a trovare un artista così sensibile, curioso verso il teatro e che non fa del cinema un club privato».

Partire dalla Calabria con un sogno così grande quanto è difficile?

«Tanto. Ho fatto diversi provini per serie tv anche ambientate in Calabria, arrivando ai call back sei o sette volte. Poi però al posto mio sono stati presi attori di fuori, di Milano, Roma. La beffa è che poi chiedevano a me di insegnare loro l’accento o il dialetto calabrese. Ecco quanto è difficile».

“L’Immensità” è un film che ha fatto molto parlare, com’è cominciata con Crialese?

«Lo conobbi in Puglia per un workshop di cinema e poi in un uliveto, una sera, recitai qualcosa che avevo scritto io, il monologo "Bollari". Lui ne fu colpito, si avvicinò e mi disse: “Restiamo in contatto”».

Ha fatto di più, è venuto qui in Calabria.

«Nel 2020 mi chiamò perché stava girando un documentario e voleva passare con il suo camper da Crotone, mi raccontò anche che i suoi bisnonni erano di Scandale. Doveva restare qualche giorno, alla fine si fermò un mese e mezzo».

Dove siete andati?

«A cavallo sui calanchi d’argilla a Crotone, sul lago Cecita che a dicembre era di ghiaccio, abbiamo fatto delle riprese subacquee sullo Ionio. Un giorno, mentre uscivamo dall’acqua di capo Colonna, arrivò la proposta: “Ti vorrei sul set con me”. Non glielo avrei mai chiesto, quasi mi mancò il fiato».

Quando ha letto la storia del film cos’ha pensato?

«Spesso ho pianto. Poi è arrivata anche la proposta di seguire i bambini per prepararli al set. Per quattro mesi loro non hanno mai avuto il copione, Emanuele voleva che diventassero una famiglia davvero prima di esserlo sul set, per preservare lo stupore spontaneo».

La storia è anche piena di spigoli, è difficile preparare i bambini a certe scene?

«Ci vuole la mano leggera. Abbiamo innescato nei piccoli un meccanismo di gioco anche quando la scena richiedeva l’associazione ad alcuni problemi di alimentazione non facili da collegare, ad esempio, a bimba di sei anni».

Cosa l’ha conquistata di questo film?

«La delicatezza. Alcuni forse si aspettano qualcosa di sconvolgente, vista la tematica, invece non è così. Non c’è cinismo nell’opera di Emanuele, lui non strizza mai l’occhio al pubblico, non gli dà quello che vuole».

Ha recitato accanto a Penelope Cruz, com’è stato lavorare con lei?

«Lei mi ha tolto il fiato. È una professionista incredibile, empatica, la sua performance sul set meriterebbe davvero un riconoscimento speciale. Ero sul red carpet di Venezia e lei mi ha visto da lontano ed è venuta a salutarmi abbracciandomi con un calore che mi ha sorpreso, sembravamo amici da anni».

E adesso, cosa c’è dopo la laguna.

«Due film. Ho finito di girare “La festa del ritorno” di Lorenzo Adorisio e “L’ultima notte d’amore” di Andrea Di Stefano».

Intanto è diventato anche papà.

«Lorenzo è nato a luglio. Una gioia che non riesco a descrivere. Sa che diceva Emanuele? Che è il figlio dell’Immensità. Lo è davvero».