Michelangelo Frammartino è arrivato elegantissimo intorno alle diciotto e trenta sul red carpet della 78esima edizione della mostra del cinema di Venezia, un’ora più tardi il suo nome è stato pronunciato da Bong Joon-ho che ha incoronato il suo film con il premio speciale della giuria di Venezia.

Frammartino, incredulo e felice, è salito sul palco per raccogliere il frutto più dorato del suo lavoro e ha ringraziato, emozionatissimo, tutti quelli che gli sono stati accanto in questa grande avventura.

«Grazie a chi ha creduto a questo salto nel buio, produttivo. Grazie a Doppio Nodo Double Bind, alla Calabria Film Commission, grazie a Rai cinema, ai miei compagni di viaggio, a Giovanna Giuliani che ha scritto questo film con me, grazie ad Antonio Larocca, grazie alla speleologia italiana che si prende cura del buio e di ciò che non ha forma. Grazie San Lorenzo Bellizzi, Cerchiara, Rotonda, Terranova del Pollino da dove viene Nicola Lanza, il meraviglioso pastore del film, grazie Caulonia e grazie alla Calabria che è la regione più bella d’Italia».

L’opera che dopo la prima proiezione in Laguna è stata salutata con undici minuti di applausi, che non ha dialoghi né musica di fondo, segna il grande ritorno, undici anni dopo “Le Quattro volte”, del regista che si è cimentato in una vera e propria impresa.

L’opera racconta di un gruppo di giovani esploratori del Gruppo Speleologico Piemontese torinese, che nel 1961, mentre l’Italia degli anni del boom economico vedeva nel Nord crescere l’edificio più alto d'Europa, all’altra estremità del Paese intraprendeva un lungo viaggio verso gli abissi, in quel Sud che tutti stavano abbandonando per affollare le fabbriche del Settentrione.