VIDEO | Attraverso il viaggio di un moderno Ulisse, interpretato da Ivan Franek, l'opera esplora la Calabria come terra di approdi e naufragi, fondendo passato e presente in una narrazione che riflette sulle lotte e speranze dei migranti
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In Kalavrìa, della regista calabrese Cristina Mantis, la poetica omerica dell’Odissea sposa il linguaggio del documentario moderno con risultati sorprendenti. Dopo il suo acclamato Redemption Song, Mantis ritorna in sala con un’opera - prodotta da Ganesh produzioni, dal Centro Teatrale Meridionale e dal Movimento Film e realizzato con il sostegno del Ministero della Cultura e della Fondazione Calabria Film Commission - che esplora un presente declinato con il lessico della mitologia, e affronta il tema dell’identità e dell’esilio. Nel docufilm l'Ulisse di Omero diventa un migrante dei nostri tempi ed è interpretato dall’attore ceco Ivan Franek (che abbiamo visto in (“La grande bellezza”, “Brucio nel vento”, “Noi credevamo”), mentre la colonna sonora, firmata da Alexandros Halalis e Cataldo Perri, dona alla narrazione un’impronta evocativa che lascia un segno profondo nello spettatore.
L’ispirazione per il film – ci racconta la regista - nasce dalle teorie dello storico Armin Wolf, secondo cui l’ultima tappa di Ulisse prima di Itaca potrebbe essere stata la Calabria. Mantis abbraccia questa ipotesi e sposta la narrazione nel Mediterraneo attuale, mettendo a confronto il mitico approdo di Ulisse presso i Feaci con la realtà della Calabria di oggi, terra segnata da tragedie come il naufragio di Cutro e da storie di accoglienza, come quella di Riace e del suo ex sindaco Domenico Lucano. Ulisse diventa, così, una figura simbolica per i migranti moderni, un baluardo quasi.
Nel documentario, la regista fa approdare simbolicamente Ulisse sulle spiagge della Calabria, precisamente alla foce del fiume Amato, presso Lamezia, per poi farlo risalire fino a Tiriolo, dove, come racconta Omero, si possono osservare il Tirreno e lo Ionio con una sola occhiata. Il viaggio diventa un’esplorazione non solo geografica ma anche spirituale, un percorso verso l’invisibile, verso ciò che ha poca voce, come spiega la regista.
Un ruolo centrale nel documentario è riservato alle figure femminili, in particolare a Circe e Penelope. Mantis riflette sulla condizione femminile, riconoscendo alle donne una forza particolare legata all’abnegazione e all’amore incondizionato che dimostrano come fosse connaturato. La figura di Penelope, in particolare, viene celebrata attraverso la voce di Edda Dall’Orso, celebre collaboratrice del compositore Ennio Morricone.
Le riprese, realizzate con maestria da Fabio Olmi, catturano l’anima dei paesaggi calabresi, che diventano essi stessi protagonisti silenziosi. Le tappe dell’odissea del moderno Ulisse vengono scandite da incontri significativi, con Circe, interpretata da Agnese Ricchi, e Pitagora, portato sullo schermo da Domenico Pantano. Compaiono nella pellicola il cantante e compositore greco Alexandros Hahalis, il cantante griot Badara Seck, Cristina Golotta (Leucotea) e lo scrittore Gioacchino Criaco che descrive la storia degli esodi.
Con Kalavrìa Cristina Mantis dona al pubblico una riflessione poetica e profonda, facendo dialogare il mito con la nostra realtà. Il fine sembra quello di comprendere l’umanità errante di oggi che vaga in una notte scura, senza neanche una stella da seguire.