VIDEO | È un manifesto contro la violenza e gli abusi di potere il nuovo singolo di Michelangelo Giordano. “Mio fratello”, questo il titolo, prende ispirazione dalla vicenda del giovane romano morto in seguito ad un presunto pestaggio da parte dei carabinieri
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Si ispira a Stefano Cucchi, il geometra romano morto nel 2009 e per cui sono a processo quattro carabinieri, la nuova canzone di Michelangelo Giordano, cantautore originario di Reggio Calabria che vive e lavora a Milano. “Mio fratello” è un brano intenso, rigorosamente acustico che esprime un senso di verità come la storia di Cucchi e di tutte le vittime dello “Stato”.
«È una canzone dettata da un sentimento amaro- ci dice Giordano- la morte di Stefano Cucchi ha generato sgomento, indignazione e profondo dolore tra gli italiani. Io ho semplicemente utilizzato lo strumento della musica per trasformare questi sentimenti in canzone». Un testo impegnato che parte dal caso Cucchi e diviene un manifesto contro ogni forma di violenza e abuso di potere. La musica e le parole toccano il dolore di tante famiglie; “Mio fratello” è un urlo contro le ingiustizie e le sofferenze dei più deboli.
«L’ ho scritta quasi di getto in una mattina di primavera- ci spiega il cantautore - non ci ho ragionato molto su, ma ho lasciato andare il cuore. Solo alla fine mi sono accorto che in realtà non avevo mai menzionato il nome di Stefano nella composizione, ma per tutto il tempo in cui venivano fuori musica e parole, nella mia mente era stampata la sua immagine la sua storia, la sofferenza della sua famiglia e la battaglia della sorella Ilaria, una donna guerriera. Forse il non fare menzione esplicita, fa parte del mio modo di raccontare le storie in musica; mi piace, spesso, che sia il pubblico a trovare la chiave di lettura di un determinato messaggio o significato racchiuso dentro una canzone; amo colorare i brani di dettagli, racconti, suggerimenti quasi visibili, ma mi piace anche invitare il pubblico ad un ascolto attento e riflessivo».
E proprio la tematica della violenza e degli abusi di poteri è una tematica attuale, difficile da affrontare e non sempre gli artisti si lasciano andare in composizioni così profonde che sfondano i muri dell’attualità. Giordano ha, però deciso di occuparsi questa problematica “adottando” addirittura, attraverso i suoi canali social l’hasthag “#siamotuttiStefanoChucchi”.«È una storia- continua- che deve interessare tutti noi e per la quale dobbiamo combattere e pretendere giustizia. Ognuno di noi poteva trovarsi in quella situazione e, se non siamo più al sicuro nemmeno nelle mani dello Stato, significa che questo non è un Paese civile. L’esigenza di affrontare determinate problematiche nasce più che altro dalla consapevolezza che la musica è un potente mezzo di comunicazione per arrivare al cuore ed alla mente della gente e quindi se la musica può smuovere le coscienze e sensibilizzare la gente su determinate tematiche, è un dovere di chi scrive canzoni farlo con onestà intellettuale».
Dalle nostre colonne il cantautore rivolge un messaggio alla sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che per anni ha combattuto nella costante ricerca della verità.« Il mio non può essere altro- spiega- che un messaggio di grandissimo affetto, vicinanza al loro dolore e stima; un’immensa stima per la dignità, la forza ed il coraggio con cui stanno conducendo una battaglia lunghissima e dolorosissima».
Giordano nella sua carriera artistica annovera varie iniziative che abbracciano i temi della legalità come il premio “Web Amnesty international” nel 2013, due concerti in memoria dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nonché l’evento di “Libera a Milano”. «Essere nato e cresciuto a Reggio Calabria e più in generale al Sud Italia, sicuramente- ha chiosato il cantautore- mi ha reso più sensibile riguardo determinate tematiche. Il Sud Italia convive da sempre con problematiche sociali che, spesso, fanno da contro altare alle grandi potenzialità di queste terre». Il cantuatore lancia un messaggio chiaro ai tanti giovani: «Non è tutto oro quello che luccica; a volte la scorciatoia che ci serve sul piatto la criminalità organizzata lanciando il fumo negli occhi di una possibile vita agiata e dei soldi facili, rappresenta una false illusione che svanisce in fretta e rovina la vita per sempre. È come vendere l’anima al diavolo, si finisce per essere aridi, vuoti dentro, soli e con una vita bruciata».
Una delle frasi “chiave” del brano “mio fratello” recita: “fino a quando sarò in vita e giustizia ci sarà”. Un messaggio importante perché si parla della giustizia esercitata dalla magistratura e non dalla vendetta personale che si contrappone molto invece, ai testi della cosiddetta “Trap generation”. «Credo vivamente che la nostra battaglia- ha dichiarato- debba essere mirata per ottenere uno Stato che sappia garantire la giustizia, piuttosto che pensare di farsi giustizia da sé. Altrimenti la società diventerebbe un Far West; tutti si sentirebbero autorizzati a scendere su strada ed iniziare a sparare. Ci sono alcune ingiustizie derivanti da alcune sentenze “insopportabili”, come le prime sentenze relative al caso Cucchi o, per citarne una recente, la sentenza d’appello del processo Vannini, ma queste ingiustizie non devono indurci a cercare vendette personali, piuttosto devono coalizzarci nel cercare una giustizia dello Stato più efficiente».
“Mio fratello” anticipa l’uscita del secondo album di Michelangelo Giordano, prevista a breve con la preziosa produzione artistica di Stefano Pulga. Il videoclip, le cui immagini arrivano dritte al cuore e allo stomato, è stato girato e diretto da Francesca Suffanti e la produzione esecutiva dell’intero progetto è di Antonio Pirillo. Giordano in cantiere ha tanti progetti. «Dopo le fortunate esperienze oltre i confini italiani, torneremo all’estero per promuovere la mia musica; a fine maggio in Polonia e poi nuovamente in Georgia dove ho suonato già in due importanti occasioni come rappresentante della musica italiana». Il cantautore da anni lavora in Lombardia, ma le sue origini sono ben salde in Calabria e nella sua Reggio. «Lo dico sempre-ci tiene a sottolinearlo- che se oggi sono così come sono, è anche merito delle mie origini, della terra in cui sono nato e cresciuto. È vero, io sono partito in cerca di fortuna, ma il mio cuore è rimasto ancorato in Calabria; soffro e lotto sempre per la mia terra natia sognando un florido futuro per la nostra regione. La mia famiglia, i miei affetti sono lì ed io non perdo occasione di tornare tra la mia gente ogni qualvolta è possibile».