VIDEO | Il regista ha battezzato l’uscita nelle sale calabresi della sua opera che ha vinto a Venezia il premio speciale della giuria. «Agli spettatori dico: fidatevi delle immagini e immergetevi»
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Il distacco dalla luce, il distacco dalla vita, e poi un salto dalla terra antica al cielo punto da vele di cemento. Qualcosa s’intreccia, nello spazio tra il respiro e la morte, tra una vena che pulsa ancora e una coperta di lana blu calata sugli occhi; qualcos’altro fa da contrasto e ci fa spiare un Nord che edifica e tira su, contro un Sud che cela i suoi sussurri nelle grandi profondità mentre tra le valli corre il richiamo dei pastori arrotondato su vocali insegnate dagli alberi guardiani.
In fondo all'abisso
Cosa c’è alla fine del Buco di Frammartino se non proprio la luce. Se per Hawking anche dai Buchi neri si esce, per il regista di Caulonia, fresco di premio speciale alla regia a Venezia, al termine del viaggio nell’oscurità, anche di noi stessi, non può che esserci la risalita. Anche i crepacci hanno una fine, anche l’oscurità termina, a un certo punto.
Frammartino: «Una squadra eccezionale intorno a noi»
Ieri sera a Cosenza Michelangelo Frammartino ha battezzato in Calabria il suo film, con l’emozione a fior di labbra, ricordando i momenti veneziani. Ad accoglierlo sul palco Giuseppe Citrigno, presidente della Calabria Film Commission all’epoca della produzione del film, e una sala piena e impaziente di godere di un’opera immersiva e poetica che trasporta in un abisso dipinto come un quadro impressionista, per tocchi veloci di luce, sagomati dalla punta di nero scelta ad arte dal direttore della fotografia Renato Berta.
«Venezia ci ha sorpresi»
«Avevo lasciato Venezia, dopo la prima. Ero in Piemonte con i miei figli e mia sorella e poi è arrivata la telefonata. Siamo stati davvero molto contenti che la giuria ci abbia scelti. Questo è un premio che va a un collettivo. In questo film ci sono persone che hanno dato veramente tanto – racconta ai nostri microfoni -. La squadra di speleo che ci ha supportato è stata incredibile, non si è fermata un momento. Quando ho ricevuto il premio ero felice di poter condividere quella gioia con tutti».
Cosa tratterrai nella memoria di quei giorni a Venezia?
«Il rispetto. Noi andavamo a Venezia onoratissimi dell’invito di Alberto Barbera e di tutto il comitato, e anche stupiti, perché abbiamo fatto un film senza puntare ai concorsi. Volevamo condurre un’esplorazione nelle immagini e qualche volta abbiamo pensato che fosse rischioso partecipare al festival. Invece a Venezia abbiamo incontrato un grande rispetto per noi e il nostro lavoro. Anche chi solitamente si schiera in favore di un altro tipo di cinema ha parlato del nostro film in un modo che ci ha inorgogliti».
Ti abbiamo visto salire sul palco emozionatissimo e quasi commosso.
«Ma sai, io pensavo che il premio speciale alla giuria non avesse il Leone. Pensavo fosse una targa. Mio figlio va matto per gli animali e quando ho visto che mi consegnavano un Leone, nero come il Bifurto per giunta, mi sono emozionato anche di più».
Parliamo agli spettatori, cosa devono aspettarsi al momento della chiusura delle luci in sala?
«Quello che posso dirgli è: immergetevi. La speleologia la vive una squadra che si immerge nel buio, voi spettatori sarete un collettivo, finalmente in sala, che potrà immergersi nell’oscurità. Ecco, si tratta di immergersi e di avere un po’ di fiducia nelle immagini, nei tempi e nelle durate di questo film.
È un’esperienza, non un film come gli altri.
«È qualcosa di vicino all’accadimento, all’evento, che spesso non ha un disegno preciso».