Quella di “Un paese felice”, nonostante il titolo evochi altro, non è una storia a lieto fine. «Le prime ruspe arrivano all’alba e avanzano spavalde come carrarmati in guerra. Noi siamo tutti lì. A distanza di sicurezza, nello spazio tra il mare e le case di Eranova. Una folla di donne, bambini e uomini increduli». Comincia così il romanzo di Carmine Abate (Mondadori), finalista del premio Sila e presentato a Cosenza in un incontro con l’autore e Paride Leporace, con gli onori di casa di Gemma Cestari direttrice del premio.

«Prima che la spada di Damocle le cadesse addosso, Eranova era davvero un paese felice, la gente stava bene, aveva il lavoro – ha detto Abate -. Eranova adesso non c’è più, quella vicenda l’ha spazzata via. Il presidio urbano non è stato neanche spostato, com’è successo in altri luoghi interessati alla stessa tipologia di vicenda».

Lo scrittore si è a lungo documentato, visitando quei luoghi violati e svuotati da un progresso farsa, parlando con gli abitanti e raccogliendo testimonianze. «Il mio non lo definisco un romanzo storico. Per qualcuno è un romanzo storico, per altri è un romanzo politico, per me è un romanzo romanzo. Partendo da un fatto storico reale, come romanziere, ho raccontato una storia che ritenevo e ritengo urgente, una storia da raccontare, una storia di ingiustizia. E quindi in questa storia d’ingiustizia non poteva non entrarci Pasolini. Che magari avrebbe potuto salvare il paese scrivendone e creando uno scandalo a livello nazionale, ma è morto prima che potesse fare qualcosa…»

La seduzione del futuro, quando si presenta sotto forma di moneta sonante, per taluni ha un effetto ipnotico. Non sempre la popolazione, attirata da un piccolo e facile guadagno, riesce a essere lucida e non miope, e la protagonista del romanzo di Abate, la giovane Lia, è tra quelli che cercano di combattere per salvare quello che più conta: le radici che rischiano di essere strappate via dall’ingordigia e dalla menzogna.

E il pensiero va all’oggi, al dibattito intorno alla costruzione del famigerato Ponte sullo Stretto. «Quando ho cominciato a scrivere, nel 2016, non se ne parlava così concretamente come oggi. E sono in molti, anche sui social, a scrivermi paragonando le vicende del Ponte a quelle che descrivo nel romanzo. Lì racconto degli espropri delle campagne, delle case degli eranovesi, e nessuno di loro credeva che veramente si potesse distruggere un paese per costruire una fabbrica. Così come oggi, magari, molti pensano che il Ponte sullo Stretto non si farà mai, ma se cominciano a insediarsi i cantieri e distruggono sia la costa siciliana sia quella calabrese, e poi non si fa nulla, allora davvero questa storia di Eranova dovrebbe servire ad aprire gli occhi, a far aprire gli occhi in primo luogo ai politici e poi a noi, alle persone comuni, sia in Calabria sia in Sicilia, sia a livello nazionale».