Tiene ancora banco la questione relativa all'arrivo di circa 500 medici cubani in Calabria. Dopo la lettera di Nicola Floro nei giorni scorsi e di Alessia Piperno ieri, a prendere carta e penna questa volta è stata Maria Spanò, infermiera calabrese, che ha deciso di scrivere al presidente della Regione Roberto Occhiuto. Sul tavolo diversi punti: dai concorsi non banditi, alle condizioni dei professionisti in Calabria rispetto ai colleghi al Nord.

La lettera

«Gentile Presidente Occhiuto, sono Maria Spanò, giovane infermiera calabrese rientrata da poco nella propria regione, dopo aver a lungo lavorato fuori dalla Calabria. Non voglio perdermi in convenevoli, ma vorrei piuttosto andare dritta al punto. Le Sue dichiarazioni, che hanno fatto seguito alla decisione di portare 500 medici cubani negli ospedali calabresi, hanno destato in me non poche riflessioni. Lei afferma che questa decisione si è resa necessaria dopo che diversi bandi di concorso (a tempo indeterminato) siano andati deserti. Non voglio entrare nel dettaglio di questi concorsi, ma non mi sembra di aver visto, recentemente, dei bandi per l’assunzione di 500 medici a tempo indeterminato. Ma se così fosse, Lei si è chiesto perché nessun medico in Italia voglia venire a lavorare in Calabria?

Non sono un medico, come Le ho detto all’inizio sono un’infermiera, ma le posso dire che non c’è giorno in cui io non mi penta della scelta di tornare a lavorare in Calabria».

«Qui abbiamo il mare e la famiglia, manca tutto il resto»

Quindi l'infermiera spiega i motivi della sua affermazione: «Adesso proverò a riassumerle in breve i motivi che stanno dietro a questa affermazione, forse potrebbero essere gli stessi che tengono lontani migliaia di professionisti meridionali che hanno fatto la fortuna del sistema sanitario settentrionale. Sa cosa abbiamo in Calabria e che più manca ad un fuori sede? Il mare, la famiglia, gli affetti, le tradizioni. Sa cosa ci manca qui? Tutto il resto. Il percorso per arrivare ad essere dei professionisti sanitari è una salita ripida, piena di insidie e di difficoltà; quando si arriva in cima, si pretende di salire sempre più in alto, di aggiornarsi, di crescere, di migliorare, di ambire alla posizione che sta sopra di noi. Alcuni la chiamano ambizione, io lo chiamo sacrosanto diritto. Nessuno mi ha mai regalato nulla, non trovo sia giusto accontentarsi delle molliche, se altrove si può trovare l’intera pagnotta. In Calabria, anzi non volendo generalizzare preferisco parlare di alcune realtà aziendali, il pagamento degli straordinari è un’utopia, quello del premio di produzione è fermo ad anni fa e viene, di tanto in tanto, dato un acconto. L’avanzamento di fascia reddituale è un miraggio. Non esistono indennità; i notturni sono tra quelli meno pagati d’Italia. Il tempo che impieghiamo per cambiarci e darci le consegne sono minuti di lavoro regalati all’azienda, perché non è previsto che ci vengano pagate. Sa dove lavo la divisa che porto per un intero turno nei reparti di degenza? A casa. E sa chi mi ha dato quella divisa? Nessuno, l’ho comprata con i miei soldi. Sorvolando sui rischi infettivi, non crede sia un po’ svilente? Per me lo è».

Le condizioni diverse rispetto al Nord

Maria Spanò nella sua lettera ripercorre il periodo in cui ha lavorato al Nord: «Nell’azienda in cui lavoravo prima il premio di produzione veniva pagato regolarmente ogni anno, il tempo necessario per cambiarsi e darsi consegna veniva retribuito, l’avanzamento della fascia reddituale era una prassi, la divisa mi veniva fornita dall’azienda, lavata ad ogni turno e riconsegnata pulita (inclusa la felpa nei mesi invernali) e non sto qui ad elencarle la serie di indennità che percepivo ogni mese, puntualmente. Non siamo eroi e neppure martiri. Siamo comuni cittadini che pagano le tasse e che vogliono avere un lavoro soddisfacente, e qui, mi dispiace dirlo, non è possibile. E allora perché un medico con una carriera avviata dovrebbe tornare in Calabria? A volte il mare non basta, purtroppo. Alcuni dicono che lo stipendio è più basso, ma che lo sia anche il costo della vita. Ne siamo sicuri? Il bollo dell’auto lo devo pagare comunque, eppure ho una macchina ibrida e nelle altre regioni non l’avrei pagato per i primi cinque anni. Il parcheggio lo devo pagare, altrove era gratis. Perché altrove si incentiva l’acquisto di automobili con basse emissioni di CO2. La rete ferroviaria è pessima, i mezzi pubblici inesistenti, le strade garantiscono la visita dal gommista un mese sì e l’altro pure. Vogliamo tornare agli ospedali? Sono fatiscenti, manca sempre qualcosa, anche le cose basilari. La gente che ci lavora da una vita è stanca di questo sistema a cui ormai si è abituata, continua a lavorare per inerzia e senza speranza e tanti saluti al concetto di efficienza. Può biasimare i medici che non rispondo ai bandi, se mai ci sono stati? Vorrei essere stata coraggiosa come loro, stringere i denti e pensare alla mia carriera e al mio futuro. Sa, il sistema deve cambiare, ma per poterlo fare bisogna prima conoscerlo. L’ultimo pensiero va a questi medici cubani, auguro loro un grosso in bocca al lupo e buona fortuna, ne avranno bisogno».