«Lei ha otto mesi di vita». È quanto si è sentito dire dai medici dell’ospedale San Paolo di Milano, Salvatore Naccari, vibonese 60enne che, per risolvere un disturbo all’occhio destro, si era inizialmente rivolto allo Jazzolino di Vibo Valentia, dove però, secondo il racconto dell’uomo con carte alla mano, «non hanno neanche visto un tumore che prima era di due centimetri e poi è diventato di otto».

Ma per spiegare nei dettagli l’ennesima ombra sulla sanita calabrese, bisogna procedere con ordine e raccogliere i fili di una vicenda purtroppo ascoltata già altre volte.  

L’odissea del 60enne

Il calvario di Salvatore inizia nell’aprile del 2022, quando gli viene consigliato di effettuare una risonanza magnetica per escludere complicazioni nell’area interessata dai fastidi: «L'occhio mi pulsava in continuazione e allora ho cercato di prenotare il servizio, ma il Cup mi dava disponibilità diversi mesi dopo. Decidevo così di rivolgermi al privato che effettuava l’esame e non refertava alcun problema. Stessa cosa all’ospedale di Vibo: dopo gli accertamenti, per loro soffrivo di sinusite e otite croniche, oltre ad avere due nervi facciali sovrapposti e stress da lavoro».

Confortato dalle rassicurazioni ricevute dai professionisti, Salvatore inizia così le cure prescritte, ma nel frattempo subisce un infortunio alla mano sinistra che gli impedisce di portare avanti il lavoro per la sua azienda di termoidraulica.

Un problema serio che in questo caso si rivela provvidenziale: l’uomo decide di operarsi all’arto in Lombardia e qui approfondisce anche i fastidi oculari, nel frattempo accentuatisi, nonostante le terapie prescritte: «A febbraio del 2023, una neurologa 28enne del San Paolo di Milano mi scrive via mail di “procedere velocemente a Tac collo e successiva valutazione otorinolaringoiatrica o chirurgica” perché “l’esito non è bellissimo”».

La doccia fredda

È in quel momento che il mondo crolla addosso a Salvatore: i successivi controlli evidenziano due tumori, uno nel tratto nasale e un altro in quello faringeo: «Mi dicono che in quelle condizioni non ho più di otto mesi di vita, bisogna operare d’urgenza».

E così, dopo otto ore di intervento, il 60enne si ritrova a dover affrontare una nuova vita: «Questa vicenda mi ha stravolto: ho perso contatti di lavoro, non ho più tenuta mentale, tutte cose che avrei potuto evitare se a Vibo mi avessero fatto la diagnosi giusta».

La rabbia di Salvatore

Una vicenda drammatica che purtroppo non si è ancora conclusa: l’uomo sta infatti affrontando dei cicli di chemio e radioterapia per ridurre delle complicazioni ai linfonodi. E la rabbia per quanto sta vivendo è ancora grande: «Ho già fatto una donazione da 2mila euro al San Paolo di Milano per la ricerca sui tumori, accertandomi che in Calabria non arrivi neanche un centesimo, perché per me è stato umiliante subire tutto questo».

Un discorso che si allarga inevitabilmente al confronto Nord-Sud: «Qui si prendono i cubani, ma lì in Lombardia la cosa che più mi ha colpito è stata la massiccia presenza di medici calabresi. Invece di andare a pescare in America, bisognerebbe riportare questi professionisti in Calabria».

A carte bollate

E la battaglia di Salvatore non si ferma alla denuncia alla nostra testata: «Porterò avanti azioni legali perché per me alcuni non sono medici ma macellai. E lo farò non per una questione economica, tanto è vero che un eventuale risarcimento lo donerei; lo farò perché non sono la prima vittima di questo sistema e non sarò neanche l’ultima, ma è giusto che nessun altro viva quello che sto passando io. Chissà quante persone hanno avuto diagnosi sbagliate e non si sono salvate, senza neanche saperlo. È proprio questo che voglio evitare».