Parte oggi la campagna del nostro network: vi racconteremo i disservizi di un sistema in perenne crisi e gli avamposti d’avanguardia nella cura della salute. Con uno sguardo sulla rinascita dalle macerie del Piano di rientro
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È ancora il momento delle unità mobili, già viste ai tempi del Covid. Questa volta, però, l’emergenza non è pandemica ma strutturale. A Vibo c’è bisogno di spostare interi reparti per non perdere i 25 milioni di euro destinati dal Pnrr alla ristrutturazione antisismica dell’ospedale Jazzolino. Che ne ha disperato bisogno visto che il nuovo ospedale – prima pietra posata poco meno di 20 anni fa – è ancora un cantiere.
Catanzaro, ospedale Pugliese, presidio Ciaccio-De Lellis: nel reparto di radioterapia oncologica viene consegnata una tomografia computerizzata di ultima generazione. Il problema è che è il macchinario sbagliato, utilissimo in radiologia ma inutile ai fini dei trattamenti radioterapici.
Più a Sud: Reggio Calabria. La Breast Unit del Grande ospedale metropolitano è uno scrigno di storie in cui la sofferenza incontra l’umanità delle cure contro i tumori. Un’alleanze terapeutica tra medici e pazienti che produce buona sanità: 900 visite, 250 biopsie e 160.
Le eccellenze non sono un sogno neppure in una sanità che arranca, stando ai numeri ufficiali. La Calabria sogna il cambio di passo grazie a luminari come Franca Melfi, neo docente dell’Università della Calabria e neo primario dell’ospedale dell’Annunziata. È un quadro fatto di luci e ombre quello che il network LaC vi racconterà nei prossimi giorni. Forse le ombre si prenderanno la scena più spesso: pare inevitabile per una sanità costretta a spendere più di 300 milioni di euro per consentire ai propri cittadini di curarsi fuori regione. Eppure non mancano medici di altissimo livello e reparti di primo piano.
È una sanità diseguale, quella calabrese, in cui il rischio di morire varia a seconda del luogo di residenza. La tragica morte di Serafino Congi, 48enne di San Giovanni in Fiore deceduto in ambulanza durante il trasferimento a Cosenza, racconta quanto sia difficile raggiungere i luoghi di cura dalle aree più periferiche. La montagna calabrese è svuotata di servizi, reparti, personale sanitario in una maniera che si avverte più profondamente che nel resto della regione. I tempi per raggiungere gli hub, spesso su ambulanze obsolete e prive di apparecchiature all’avanguardia, fanno la differenza tra la vita e la morte. Distanze insopportabili: lo raccontava qualche giorno fa sulle colonne di LaC News24 e del Vibonese una malata oncologica costretta – da anni – a viaggi di 4 ore per sottoporsi alla radioterapia. Sempre da Vibo si è levata la richiesta di aiuto alla politica regionale di un giovane medico del 118, Alessia Piperno: «Qui manca tutto e con le promesse non curiamo i malati», in estrema sintesi.
Le macerie lasciate da 14 anni di commissariamento emergono in primo piano: calcoli ragionieristici su posti letto e turn over hanno messo in secondo piano le legittime esigenze di quasi due milioni di cittadini. Il dissesto finanziario non era colpa dei calabresi ma loro hanno pagato un conto salatissimo.
Dal mare di disservizi emergono storie di speranza: ve le racconteremo. La Calabria è la regione in cui il sindaco di Belcastro vieta ai cittadini di ammalarsi ma sa essere avamposto di innovazione anche in un settore ferito come la cura della salute. Sperimentazioni con l’impianto di pacemaker minuscoli, interventi chirurgici da record, storie di grande umanità. Racconti come quello di Teresa Monardo che ha scelto di combattere il cancro in Calabria: «Mai pensato di andare al Nord, qui ci sono i migliori specialisti». Luci di speranza che illuminano il buio.