Da fine ottobre 2020 in un reparto ristrutturato due volte che ha sconquassato il Giannettasio, sono stati curati oltre 1500 pazienti ed assunti circa 80 tra infermieri e oss. Gli impegni non mantenuti dalla politica rischiano di dilapidare anche esperienze e conoscenze
Tutti gli articoli di Sanità
PHOTO
“Andrà tutto bene”, dicevano. Ed invece la pandemia ha lasciato solo macerie. Quelle di un sistema sanitario impreparato ed uscitone ancora più a pezzi, ed una riorganizzazione – tra decreti e atti aziendali – che stenta a ripartire.
In tutto questo, in Calabria, una delle regioni che ha patito di più l’incapacità gestionale del periodo proprio a causa di un servizio sanitario rattoppato, si contano gli sprechi. E non solo in termini economici ma soprattutto in know how, in esperienze, competenze e conoscenze. Come nel caso del reparto Covid dello spoke di Corigliano Rossano, una vera e propria tincea in prima linea contro il virus Sars-Cov-II in provincia di Cosenza, sin dall’ormai lontano 30 ottobre 2020.
Da allora, due ali del quinto piano dell’ospedale Giannettasio – era adibito a deposito di scope e palette dopo l’imponente taglio alla sanità tra posti letto, reparti, ambulatori, effettuati negli anni d’”oro” della spending review – sono state ristrutturate, potenziate con l’implementazione dell’impianto dei gas medicali e di aspirazione, e riconvertite in reparto di Pneumologia Covid da 40 posti letto. Prima ancora il reparto era stato ospitato al primo piano, con i relativi e imponenti lavori eseguiti per due volte che di fatto hanno sconquassato il Giannettasio immolandolo alla sola causa Covid.
In quelle corsie sono stati curati oltre 1500 pazienti tra terapia sub-intensiva e cure con gli anticorpi monoclonali. Per quell’immane lavoro sono stati assunti 45 infermieri e 30 operatori socio-sanitari mentre i medici sono stati “raccattati” quasi tutti dall’assistenza territoriale.
Di quella esperienza, molto probabilmente non rimarrà nulla, perché da alcuni giorni quel reparto di Pneumologia è in fase di smantellamento, nonostante pare sia contemplato nel nuovo atto aziendale dell’Asp di Cosenza.
I sei medici, molti dei quali non ospedalieri compreso il direttore Giovanni Malomo, dovrebbero tornare presto negli ambulatori dislocati tra Cosenza e provincia mentre una trentina di infermieri e oltre 20 oss – assunti anche a tempo e poi stabilizzati – sono già stati trasferiti in altri reparti o in altri presìdi ospedalieri della provincia.
Da quanto appreso, ancora, in questi giorni è scattata la “campagna acquisti” per i 12 infermieri più i 10 oss ancora in servizio, ma per poco. Anche loro saranno dislocati in altre unità operative complesse ed altri ospedali, probabilmente “ingaggiati” dai primari più “potenti”.
Per quel che concerne la strumentazione, nessuno sa se i 12 ventilatori polmonari finiranno in uno ripostiglio o subiranno un trasloco. Peraltro, finirà per non essere mai utilizzata anche una cabina pletismografica (da 30/40mila euro), montata appena nei giorni scorsi.
Gli “impegni” assunti dalla politica
Al tempo, era fine ottobre 2020, prima ondata piena, il management calabrese della sanità aveva deciso di sacrificare il Giannettasio sull’altare del Covid, azzerando tutto il resto, eccezion fatta per il pronto soccorso.
Una decisione avallata anche dal sindaco, Flavio Stasi. In quelle settimane, nonostante le feroci proteste della popolazione, sosteneva che tutti avrebbero dovuto fare la propria parte contro l’avanzata del virus. Quel immolazione al martirio era servita per strappare una promessa: mantenere la pneumologia anche al termine della pandemia. Un impegno mantenuto di commissario alla sanità in commissario.
Con quale risultato? In questi giorni si smantella.