Una situazione paradossale «in cui l’incongrua disciplina del potere sostitutivo» ha concorso «a determinare le condizioni dell’attivazione del potere sostitutivo». È cosi in estrema sintesi che la Corte Costituzionale descrive la «paradossale» situazione in cui versa la sanità calabrese, da anni commissariata dal Governo. Il 28 dicembre scorso la Regione aveva infatti impugnato dinnanzi alla Consulta il decreto Calabria bis ritenendolo incostituzionale. E la Corte in parte oggi le dà ragione ritenendo, appunto, incostituzionale l’articolo 1, comma 2 perché viola l’articolo 120 della Costituzione.

Strumenti inadeguati

In discussione vi è il potere sostitutivo cui ha fatto ricorso il Governo per colmare il grave gap assistenziale evidenziato in Calabria ma senza predisporre i giusti mezzi a superarlo. «Il carattere della sproporzione – si legge nella sentenza - consiste nell’inadeguatezza del meccanismo normativo a garantirne la finalità». In particolare, il vulnus viene individuato nella nomina del commissario ad acta che «deve essere assistito da una struttura amministrativa all’altezza del delicatissimo compito che si trova a svolgere».

Il supporto della Regione

Al contrario il decreto Calabria bis «da un lato insiste nell’assegnare un ruolo determinante al dipartimento Tutela della salute della Regione e dall’altro non dispone un adeguato innesto di personale esterno e altamente qualificato» e in tal senso «si dimostra non proporzionata e incongrua rispetto alle urgenti finalità perseguite».

I magnifici 25

Infatti, la norma con cui il Governo per la seconda volta consecutiva esautora la Regione dalla gestione della sanità prevede anche che sia la stessa Cittadella a mettere a disposizione un contingente minino di personale costituito da 25 unità. Una previsione che secondo la Consulta è «irragionevole e non proporzionata» poiché «l’impegnativa azione di risanamento, in cui lo Stato assume la responsabilità del garante di ultima istanza, non può evidentemente essere sostenuta, nei casi critici come quello in esame, dal solo commissario ad acta».

Pubblica amministrazione inefficiente

E invece così è avvenuto. «Quest’ultimo, infatti, agendo – nell’attuazione del concordato piano di rientro – in sostituzione del livello politico regionale, inevitabilmente, si confronta con una pubblica amministrazione territoriale che risulta gravemente inadempiente sotto molteplici profili». Né tanto meno il decreto Calabria ha fornito gli strumenti per superare tali criticità escludendo «in ultima analisi la possibilità che il commissario ad acta» fosse «sin dall’inizio assistito da una adeguata ed efficace struttura di supporto extra regionale».

Circolo vizioso

Al contrario, la norma «ha invece preteso di affidare il compito di fornirla alla stessa amministrazione regionale, quando sono proprio la grave inefficienza e il condizionamento ambientale di quest’ultima che hanno concorso a determinare le condizioni dell’attivazione del potere sostitutivo». Infatti, prosegue l’odierna sentenza della Corte Costituzionale «per l’esercizio di un commissariamento in corso da più di un decennio essa finisce per far dipendere l’ottenimento del contingente di supporto – e quindi, in definitiva, l’effettività del potere sostitutivo esercitato dal commissario ad acta – proprio dal comportamento della Regione, nonostante, peraltro, la conflittualità e il conclamato peggioramento dei rapporti reciproci».

Auspicata discontinuità

Al contrario, sarebbe dovuta verificarsi «una discontinuità nell’intervento e un affiancamento forte e straordinario dello Stato, in particolare da parte dei Ministeri della salute e dell’economia e delle finanze, al fine di attuare effettivamente il piano di rientro e al contempo di porre le condizioni per una possibile successiva uscita dal commissariamento».

Moltiplicare le disuguaglianze

Obiettivo assai difficile da raggiungere a queste condizioni. Il potere sostitutivo «in situazioni estreme come quella in oggetto, non può essere certo attuato attraverso il mero avvicendamento del vertice, senza considerare l’inefficienza dell’intera struttura sulla quale tale vertice è chiamato a operare in nome dello Stato. Si rischia altrimenti di produrre, a causa dell’impotenza cui si destina il commissario, un effetto moltiplicatore di diseguaglianze e privazioni in una Regione che già sconta condizioni di sanità diseguale.

Azione forte dello Stato

È chiaro che in situazioni come quella in esame – conclude la sentenza - l’effetto utile non può, infatti, che essere perseguito attraverso un intervento che comporti una prevalente sostituzione della struttura inefficiente con personale esterno altamente qualificato fornito direttamente dallo Stato – e di cui sarebbe opportuno che l’onere sia a carico della stessa autorità centrale – in modo da evitare anche ogni possibile condizionamento ambientale».