VIDEO | Per il primario del reparto di malattie infettive del policlinico universitario Mater Domini di Catanzaro si tratta di una condizione da non sottovalutare
Tutti gli articoli di Salute
Negli Stati Uniti viene definita Pacs, Post acute covid syndrome, è quella condizione che in molti casi segue la fase acuta della malattia da Covid-19 che può durare anche alcuni mesi dopo la piena negativizzazione al virus.
Una condizione da non sottovalutare, come conferma il primario del reparto di malattie infettive del policlinico universitario Mater Domini di Catanzaro, Carlo Torti: «Si possono riconoscere situazioni diverse tra loro: ci sono pazienti che presentano delle malattie più gravi e quindi con un danno polmonare residuo che persiste oltre la guarigione dalla fase acuta. Questi pazienti necessitano di test di funzionalità respiratoria e anche di riabilitazione respiratoria successivamente al ricovero in reparti per acuti come il nostro. Però ci sono anche pazienti che hanno delle malattie più lievi e nonostante ciò, a distanza di tempo, continuano a presentare dei disturbi anche di carattere neuropsicologico che fanno riferimento ad esempio alla depressione oppure ad una stanchezza cronica. Anche in questo caso si tratta di pazienti che necessitano di essere sottoposti a dei test e di essere sostenuti a livello riabilitativo anche con degli interventi di counseling».
Percorsi post covid
Strascichi dunque con i quali bisogna fare i conti che richiedono adeguati percorsi assistenziali, difficili da garantire per una sanità al collasso, con reparti saturi e personale insufficiente. «Diversi pazienti ci dicono che continuano ad avere problemi anche a domicilio – aggiunge Torti -. Fino ad ora abbiamo cercato di sostenerli a distanza, telefonicamente, però certamente queste sono modalità che vanno a mettere un po’ una pezza sul problema. Questa situazione richiede che effettivamente il sistema sanitario si attrezzi proprio per fornire presidi riabilitativi e per seguire questi pazienti anche a distanza di tempo.
Ovviamente è necessario che le strutture abbiano dei percorsi interni dedicati perché è chiaro che non tutti i pazienti che presentano uno strascico si sono già negativizzati. È possibile che possano essere dimessi dall’ospedale ma persistano ancora per un po’ positivi quindi nel caso in cui ritornino nella struttura sanitaria, questa deve essere attrezzata per far transitare questi pazienti attraverso dei percorsi protetti, in sicurezza, separandoli dagli altri no covid».
Risorse e personale dedicati
La sindrome post covid è pertanto una condizione che sta uscendo fuori in modo abbastanza importante: «Fino ad oggi non abbiamo potuto realizzare delle strutture e delle modalità assistenziali specifiche semplicemente per il fatto che siamo stati totalmente assorbiti dalla cura dei pazienti acuti – spiega il primario di malattie infettive - ma certamente in un prossimo futuro bisognerà pensare anche a questo. Io spero che la fase emergenziale ad un certo punto possa ridursi e concludersi ma nessuno sa quando questo potrà avvenire.
Nel caso in cui avvenisse, logicamente si potranno riconvertire sia le risorse di personale che le strutture. Se ciò non avvenisse, poiché è probabile che si andrà verso una lunga fase di endemia, certamente bisognerà avere delle risorse aggiuntive e anche delle modalità assistenziali dedicate come ad esempio la creazione di pacchetti di prestazioni ambulatoriali complesse e anche personale che in un’ottica multidisciplinare possa seguire questi pazienti. Ovviamente in questo caso ci vuole lo pneumologo, l’infettivologo, l’internista. Così come agiamo noi anche nel nostro reparto per acuti, bisogna avere tutte queste competenze anche per la gestione dei pazienti con la pacs».
L'appello alle istituzioni
Da qui l’appello alle istituzioni: «È sicuramente importante iniziare ad attrezzarsi - conclude Carlo Torti -. Fino ad oggi, con le risorse esistenti, era impossibile pensare di poter mettere in piedi questo genere di servizio. Speriamo che questo sia possibile e che le istituzioni siano sensibili nell’aiutarci a realizzare questo tipo di modalità assistenziale anche se c’è da dire che oggi i problemi aperti sono ancora tanti, ad esempio la faccenda degli anticorpi monoclonali che sono estremamente utili nel ridurre del 70% la probabilità o il rischio di ricovero di pazienti che sono in una fase precoce di infezione. E su questo, appunto, la Calabria è ancora un po’ in ritardo. Quindi è chiaro che le cose da fare ancora sono tante e le priorità urgenti al momento restano quelle sui pazienti acuti».