Mancano pochi giorni all’inizio della scuola e a Reggio Calabria sul tema Covid-19 e sicurezza si naviga a vista. I primi ad essere messi in difficoltà da ritardi e disorganizzazione sono proprio i medici di base, chiamati su base volontaria ad effettuare i test sierologici ad insegnanti e personale scolastico. Ma ad oggi mancano le condizioni basilari per iniziare in sicurezza.

La posizione dei medici

«Siamo arrabbiatissimi – ci dice con non poca amarezza il dottor Salvatore Oriente – perchè si dicono cose non vere. Si dice che noi usufruivamo già di presidi che in realtà non abbiamo mai avuto e che avremo ulteriori presidi a supporto dello screening da fare agli insegnanti. Dimenticano di dire però che noi non abbiamo ricevuto nulla e che non siamo mai stati messi in condizioni di avviare questa procedura per due motivi: la tempestività e la disorganizzazione.

 

Entro il 10 agosto avremmo dovuto già avere tutta la fornitura, invece, il 26 di agosto ci è arrivata la circolare del direttore sanitario che ci chiede la disponibilità. Premetto che il 24 agosto dovevamo iniziare a effettuare i test. Mi appare abbastanza chiaro che come tempestività non ci siamo proprio. Per non parlare delle modalità poco chiare. Insomma regna la confusione.

 

Esiste il rischio concreto che avendo dei pazienti che risultano positivi al test sierologico siamo costretti a chiudere l’ambulatorio in attesa dell’esito del tampone e se il tampone risultasse positivo dovremmo chiudere definitivamente come è accaduto per tanti locali pubblici. Questo ci obbliga a dover rifiutare perchè rischiamo di esporre al contagio anche gli altri pazienti oltre al medico stesso».

Senza sicurezza e dpi

Mancanza di sicurezza e di presidi, dunque, potrebbero portare alla chiusura di tanti ambulatori lasciando molti pazienti senza assistenza. Questo è il motivo che ha spinto un gran numero di medici di base al rifiuto. Ma non vogliono tirarsi indietro, chiedono solo sicurezza per se stessi e per i loro pazienti e la soluzione esiste già.

 

«Potevano garantire sicurezza totale tramite le Usca (unità speciale di continuità assistenziale) con spazi adeguati e medici attrezzati e preparati a svolgere questo ruolo delicato. Noi ci siamo messi da subito a disposizione anche fuori dall’orario ambulatoriale, lavorando se è necessario anche oltre l’orario previsto, ad andare a prestare la nostra opera nei locali individuati dall’Asp. Ma nei nostri studi non è possibile».

L’appello dei medici

Hanno combattuto la pandemia a mani nude. Hanno denunciato la carenza dei presidi di protezione che hanno spesso acquistato privatamente e, adesso, si appellano alla Regione e all’Asp affinchè si eviti quest’ennesimo pasticcio mettendo a rischio la riapertura delle scuole.

 

«Capiamo le critiche ma non siamo noi il bersaglio. Siamo noi a criticare e vorremmo essere compresi dai cittadini perchè il nostro non è un rifiuto, un non voler lavorare perchè già lavoriamo molto più di quanto previsto dalla convenzione senza che sia minimamente riconosciuto. Sono i dirigenti che spesso non hanno il polso della situazione che neppure conoscono. Noi abbiamo dei commissari che non abbiamo neanche avuto il piacere di conoscere, non li abbiamo visti mai sul campo».