«Vietare di erogare prestazioni chirurgiche per il trattamento del tumore della mammella a tutte quelle strutture che non rientrano nella Rete oncologica regionale e, quindi, agli ospedali privati convenzionati, significa ottenere il contrario del risultato sperato: incentivare l’emigrazione sanitaria. Il pubblico da solo non può farcela. Dei danni arrecati dal Commissario ad Acta Saverio Cotticelli sarebbe il caso che si facesse carico il Ministro alla Salute Roberto Speranza. Si diano risposte e soluzioni immediate alle donne malate di tumore». A lanciare l’allarme che accomuna le tante famiglie di pazienti oncologici calabresi è Francesca Caruso, presidente di Onco Med, lo studio oncologico gratuito nato da qualche mese a Cosenza per far fronte alle sacche di indigenza.

 

«È l’esperienza maturata – aggiunge – che ci fa affermare quanto sostenuto. Con i provvedimenti adottati dalla Regione Calabria vengono meno, per tanti e tanti pazienti che non possono permettersi spostamenti, i punti di riferimento rappresentati da quelle strutture che fino ad oggi hanno contribuito a frenare l’emorragia verso altre regioni, accorciare i tempi di attesa ed intervenire con efficacia nel percorso di diagnosi ed intervento. È il caso, per fare un esempio, di uno storico ospedale privato convenzionato su Cosenza che con l’istituzione dell’unità di senologia ed il ricorso allo strumento per il linfonodo sentinella ha ottenuto risultati importati a beneficio dei pazienti oncologici».

 

In Calabria sono solo tre le aziende ospedaliere inserite nella Rete Oncologica regionale: il Pugliese-Ciaccio ed il Mater-Domini di Catanzaro e l’Annunziata di Cosenza. A queste, si aggiunge l'Hub Azienda Ospedaliera Bianchi Malacrino-Morelli di Reggio Calabria con la riserva di valutare il volume finale ed il trend, entro la fine del 2020 per confermare o revocare l’autorizzazione. «Il numero delle strutture e di chirurghi è decisamente sproporzionato rispetto alla domanda di sanità che in questo campo cresce purtroppo sempre di più», sostiene Caruso.

 

«Così com’è strutturata la Rete Oncologica regionale non tiene per nulla conto delle donne, considerate alla stregua di numeri e non di persone; costrette a spostarsi in Puglia, Lombardia o nel Lazio (ci viene da chiederci per quale assurda dinamica?) per essere curate quando qui, in Calabria ci sarebbero invece, documenti alla mano, ospedali privati convenzionati con le carte in regola per dare risposte. Nel percorso che ha portato all’approvazione del decreto relativo alla Riorganizzazione – conclude Francesca Caruso - è mancata del tutto il confronto con il mondo dell’associazionismo e della sanità. Un errore ed una mancanza che pagano oggi le famiglie».