«Nonostante il Decreto Calabria la sanità Calabrese sembra raggiungere ogni giorno il suo punto più basso. Il presidio ospedaliero di Tropea, già dimezzato e ridotto ad un ospedale di consulenza e non operativo, tra il silenzio di quasi tutti i sindacati di categoria e dei politici del comprensorio, rischia di perdere definitivamente altri reparti per via della mancanza della figura degli anestesisti». Così un comunicato di Calabria sociale sul nosocomio costiero.

 

«In realtà - prosegue - si è cercato di sopperire alla mancanza degli specialisti più rari dell’attuale panorama sanitario con delle convenzioni ad hoc con le Asp di Reggio Calabria e di Cosenza. Il problema è che, con questo sistema, l’anestesista riceve un alto compenso ad ora di lavoro per fare solo il presidio nelle emergenze, non per lavorare regolarmente. Rappresentanti di lavoratori dell’ospedale tropeano avevano proposto ai dirigenti che, perlomeno, venissero dislocati in maniera più equa i posti letto fra i presìdi, allo scopo di tenerli tutti aperti: parole non ascoltate».

 

Secondo il movimento «un elemento grottesco emerge fra i racconti di chi conosce la realtà dell’Asp Vibonese: i pochi medici con esperienza, dopo l’assunzione, verrebbero fatti “fuggire” per cause ostative esterne. Un problema pesantissimo, che si somma al fatto che in ospedali problematici come quello di Tropea vengono spesso mandati medici giovani che già sono propensi alla migrazione verso le cliniche convenzionate private, anche a seguito della legge Gelli che nel 2017 ha potenziato la responsabilità penale dei medici. Molti dipendenti del presidio tropeano ricordano come fino a venti anni fa si lavorasse in maniera eccelsa. Proprio venti anni fa è cominciato il federalismo sanitario, che ha posto il fardello della spesa sanitaria sulle Regioni, con un fondo perequativo basato sulla spesa storica e non sui fabbisogni reali e che diventava sempre più esiguo per via dei tagli alla spesa connessi ai vincoli del mercato unico europeo».

 

Calabria sociale sottolinea poi come «nessuno dei partiti e degli esponenti politici calabresi che oggi risiede in Parlamento propone quelle che sarebbero le logiche e coraggiose soluzioni ad un tale incivile declino: il ritorno ad uno Stato finanziatore diretto del Sistema Sanitario fuori dai vincoli europei, una gestione centralizzata dei presìdi sanitari, con uso solidaristico delle risorse fra i vari territori e un controllo centrale e trasparente di concorsi e di altre operazioni in pericolo di clientelismo. Le ragioni di questo lassismo politico sono, probabilmente, che nessuno vuole porsi frontalmente contro chi lucra su questo sistema, ovvero le frange clientelari della politica locale e la sanità privata che, come inchieste giornalistiche prestigiose hanno rivelato, riceve dal settore pubblico rimborsi del triplo del valore dei servizi offerti».

 

Alla luce di quanto esposto «come associazione di liberi cittadini prendiamo la responsabilità di dire quello che la politica nazionale non dice: vi è urgente necessità di una nomina di tutti i dirigenti in base a graduatorie nazionali, con una valutazione di titoli operata con concorso pubblico. Vi è estrema necessità di calcolo dei veri tassi di diffusione di malattie in Calabria e del costo che il livello di assistenza necessario risulta avere, e che questi fabbisogni siano finanziati dallo Stato in ottemperanza alla Costituzione senza alcun vincolo di bilancio. Vi è la necessità morale di estromettere lo spreco del privato dalla sanità pubblica e internalizzare tutti i servizi con un piano di investimenti a lunghissimo termine. Vi è, insomma, la necessità di capire che l’aziendalismo sanitario è una barbarie che ha tolto ai cittadini Calabresi quello che dovrebbe essere un diritto universale», conclude il comunicato.