Giuseppe ha 7 anni e vive con sua madre in un centro dell'Alto Tirreno cosentino. Nonostante la tenera età, è già alle prese con le controversie della burocrazia calabrese, con gli effetti di una sanità malata e l'indifferenza delle istituzioni che si cela troppo spesso dietro la solita frase ripetuta come un mantra: è così che vanno le cose e noi non possiamo farci niente.

Giuseppe è affetto da iperattività di tipo misto con disturbo della rabbia ed è totalmente sordo da un orecchio. Ne consegue che la sua vita, spesso, è in salita. Ha gravi deficit dell'attenzione, se si annoia o sente rumore si butta a terra, rompe le cose, diventa un pericolo per sé stesso e per gli altri. Sua madre è costretta ad andare a prenderlo da scuola ogni qualvolta ha una crisi, cioè quasi tutti i giorni. Ciò ritarda il suo apprendimento scolastico e, ad oggi, il piccolo non sa né leggere né scrive, a differenza dei suoi compagni.

Le difficoltà a scuola

È un anno e mezzo fa. Giuseppe si iscrive alla prima elementare del suo paese, è felice di andare a scuola e fare baldoria con i suoi compagnetti, ma proprio quelle urla innescano nella sua mente una reazione gravissima e violenta. Giuseppe ha bisogno di un insegnante di sostegno che lo aiuti a gestire le sue frequenti crisi di rabbia, ma la scuola è impreparata a questo tipo di situazione e comunque la richiesta andava inoltrata prima.

Giuseppe passa più tempo a casa che in classe. Sua madre prova a cambiare Istituto, neanche qui c'è l'insegnante di sostegno ma le maestre riescono ad impegnarlo in alcune attività e il bimbo riesce a frequentare più assiduamente la scuola. Ma la vita del piccolo Giuseppe è complicata, o rimane calmo o impara, perché le sue maestre devono gestire un'intera classe di bambini e non hanno il tempo e modo di dedicarsi completamente a lui. Giuseppe è isolato nel suo mondo.

La nuova scuola

Anno (scolastico) nuovo, vita nuova. Giuseppe nel giro di dodici mesi cambia scuola per la terza volta. Lo scorso 20 ottobre ottiene il certificato di invalidità e il documento gli dà diritto all'insegnante di sostegno, senza se e senza ma. Ma nemmeno stavolta riesce ad ottenerlo. Quando la madre si presenta a scuola per farlo presente, i responsabili le rispondono che è tardi per presentare la domanda per l'anno corrente.

Magari sarà più fortunata l'anno prossimo. Giuseppe ripiomba nell'incubo, ogni due o tre giorni deve tornare a casa poco dopo il suono della campanella e sua madre deve essere sempre pronta a rispondere alla chiamata della scuola. Giuseppe in questo modo non riesce a imparare nulla e sua madre non può trovarsi un'occupazione fissa.

La mancata assistenza

A scuola non c'è verso di farsi riconoscere i propri diritti, così sua madre, esausta e con poche forze, prova almeno a iscrivere il figlio al percorso terapeutico di 120 ore che hanno ordinato i medici. Ma nei centri sanitari del comprensorio altotirrenico non c'è posto, nemmeno nelle stanze del poliambulatorio di Scalea, dove sorge un eccellente centro di Neuropsichiatria infantile. Giuseppe deve mettersi in fila e sperare che qualche bambino rinunci alle cure e che vi rinuncino anche quelli che sono in fila prima di lui, circostanza piuttosto improbabile. Il piccolo e sua madre devono arrangiarsi.

Abbandono e indifferenza

Al momento, l'unico spiraglio di luce è l'assistenza domiciliare, garantita una volta a settimana, da un progetto universitario. «Sono stanca di sentirmi dire che mio figlio è un bambino cattivo», dice la donna. Perché è successo anche questo. Agli occhi degli altri, probabilmente di chi non conosce la sua storia, Giuseppe è solo un bambino poco educato e decisamente capriccioso, che per un nonnulla si butta a terra, lancia oggetti in aria e rischia di far male a qualcuno. Giuseppe, invece, ha solo bisogno di cure. «Invece c'è uno scarica barile allucinante - lamenta sua madre -. Io voglio solo poter aiutare mio figlio e questo è impossibile, ma io non lo posso accettare».

Di qui la decisione di denunciare pubblicamente la vicenda, nella speranza che qualcuno possa aiutare lei e suo figlio ad uscire dal pantano nel quale sono finiti: «Io voglio solo che siano rispettati i diritti di mio figlio, voglio che abbia le stesse opportunità degli altri».