Una storia infinita quella dei malati dializzati di Reggio Calabria. Sembrava essere arrivata a un punto di svolta l’emergenza che, solo pochi mesi fa, aveva costretto tanti pazienti, anche in età avanzata, ad affrontare viaggi estenuanti verso la Sicilia per ottenere le terapie necessarie. E invece no.

 

Dopo tanto peregrinare l’Asp reggina aveva trovato una soluzione tampone che avrebbe evitato le lunghe trasferte. Sfruttare le strutture presenti sul territorio e non utilizzate a pieno era sembrata un’ottima idea ma, dopo poco tempo, qualcosa è andato storto. Da qualche mese, infatti, le segnalazioni relative al mancato servizio relativamente alla Casa della Salute di Scilla, continuavano a rimbalzare evidenziando come, pur essendoci posti disponibili, i pazienti tornavano ad essere dirottati a Messina.

 

Abbiamo voluto vederci chiaro e capire quale fosse la realtà. Alla Casa della Salute di Scilla il reparto dialisi funziona a pieno regine ma da quasi due mesi si sono liberati dei posti che, nonostante le comunicazioni puntualmente avvenute, non sono stati rimpiazzati. A confermarcelo, è stato il dirigente responsabile facente funzione dell’unità operativa dialisi di Scilla, Edoardo Crifò Gasparro.

 

«Ho comunicato ai miei organi superiori che abbiamo la possibilità di acquisire 6 ammalati nefropatici perché abbiamo avuto dei decessi e qualche trasferimento».

 

La disponibilità da parte della struttura di Scilla è massima, nonostante le difficoltà che, come ogni altra realtà sanitaria del territorio reggino, è costretta a vivere quotidianamente. Uno su tutti la carenza di personale.

 

Ma c’è di più. Perché se è vero che Scilla dista pochi chilometri da Reggio e sarebbe la soluzione ideale per gli ammalati, che così possono evitare la trasferta in nave con tutti i rischi e disagi annessi, è anche vero che l’Asp non ha ancora provveduto ad attivare un servizio navetta costringendo i pazienti dializzati a sobbarcarsi il trasporto e i relativi costi. Vien da sé che questo rappresenta un disagio ancor più grave dell’attraversamento dello Stretto considerando che non tutti sono in condizione di guidare o di avere un accompagnatore.

 

Resta intatta la necessità di un intervento volto a dare una risposta definitiva ai tanti dializzati reggini. Le soluzioni tampone sono utili ma solo se corredate dai servizi necessari. I pazienti chiedono attenzione perché chi è affetto da malattie nefropatiche non può permettersi il lusso di saltare le terapie o spostarsi per riceverle. Il potenziale strutturale c’è. Cosa manca, dunque, per dare una svolta definitiva a questo servizio? Si vocifera, addirittura, che ci sia la possibilità di aprire un centro privato. Ma questa trovata sarebbe davvero utile a risolvere l’emergenza o finirebbe per essere l’ennesimo pozzo per attingere fondi?

 

Elisa Barresi