Il calvario del 47enne: il tumore al rene, il coma e poi il rischio amputazione della gamba prospettato in Calabria. «Andando in Lombardia ho deciso di non morire al Sud dove c'è un sistema sanitario al collasso»
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«Ho deciso di raccontare la mia storia pensando a quanti non possono permettersi di curarsi altrove, a quanti muoiono semplicemente perché nati in una regione che non garantisce cure adeguate. Non mi riferisco ai medici e al personale, mi riferisco a un servizio sanitario al collasso. Senza avere titolo per entrare nel merito delle motivazioni, voglio solo, e qui ne ho titolo, testimoniare come si può continuare a vivere curandosi al Nord o morire restando al Sud».
È una storia a lieto fine quella di Aldo Iozzi che spiega così le regioni che l’hanno indotto a raccontare la sua personale esperienza. Ha 47 anni, è imprenditore e consulente aziendale ed è di Crotone. Ed è da qui che comincia il calvario della malattia a causa di una febbre alta che la scorsa estate lo induce a recarsi al pronto soccorso della città di Pitagora dove, dopo alcuni accertamenti, viene congedato con una tachipirina. Ma il disturbo persiste per giorni e Aldo decide allora di rivolgersi all’ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro dove viene ricoverato in medicina d’urgenza. Qui la diagnosi: tumore al rene destro. Una massa di circa sette centimetri da operare immediatamente. Una doccia fredda che stravolge la vita del professionista e della sua famiglia, che decide di non arrendersi.
Le cure a Bergamo
Saranno gli stessi medici del presidio catanzarese a suggerire ad Aldo di valutare l’opportunità di farsi curare fuori regione, in strutture più attrezzate. E così sarà. Iozzi, su suggerimento dei medici del policlinico universitario Mater Domini di Catanzaro, dove ha chiesto consulenza, e del direttore del reparto di Urologia dell’ospedale polispecialistico Humanitas Gavazzeni di Bergamo, Francesco Greco, decide di affidarsi alle cure dei medici dell’ospedale polispecialistico, convenzionato con il sistema sanitario nazionale, che lo sottoporranno a laparoscopia, un esame endoscopico della cavità addominale attraverso una incisione delle pareti addominali, il 12 settembre. Ma il peggio deve ancora arrivare. Già, perché ad un certo punto, durante l’intervento, il cuore di Aldo smette di battere e va in coma. Sarà il dottOR Alberto Cremonesi del reparto di cardiologia a individuare più avanti le cause dell'arresto cardiaco: un'angina di Prinzmetal. Così, per salvargli la vita i medici lo attaccano all’Ecmo, un macchinario che consente l’ossigenazione del sangue, tramite un tubo e una pompa, sostituendosi a cuore e polmoni. A questo punto, e dopo 50 giorni di sonno profondo in terapia intensiva, diretta dal dottor Giovanni Albano, Aldo è fuori pericolo ma viene a scontrarsi con effetti collaterali di non poco conto: una trombosi alla gamba destra che a sua volta gli provoca ulcere, rigonfiamenti e totale assenza d sensibilità a uno dei rami del nervo sciatico.
Il rischio amputazione
È lo stesso Aldo a spiegare che durante il periodo di coma, i medici utilizzano un filtro cavale in funzione della trombosi e rimuovono il rene e la massa tumorale. Ma rimangono ancora da sanare le ulcere alla gamba che gli provocano un profondo malessere e notevoli difficoltà nella deambulazione. Sono trascorsi ormai quattro mesi dalla laparoscopia e Aldo torna nella sua terra sperando di potersi curare in Calabria. Una speranza che si scontra con la realtà: una volta tornato in Calabria la sua gamba viene medicata ma manca un reparto di vulnologia, specializzato nella cura delle ulcere cutanee, e si forma un nuovo coagulo infetto. Da lì i problemi alla gamba aumentano fino a quando arriva un’altra doccia fredda: i medici comunicano al 47enne che bisogna amputare l’arto, ormai di colore scuro. Ma Aldo no si arrende e nell’arco di poche ore ha la lucidità di riflettere e decide di partire nuovamente per Bergamo dove viene operato d’urgenza dai dottori Andrea Casini e Maurizio Caminiti: il coagulo di sangue viene rimosso, l’amputazione non è necessaria e oggi Aldo, padre di due figli di 12 e 15 anni, può camminare sulle sue gambe. «Poter camminare non vuol dire compiere un passo, vuol dire poter progettare, sapere di poter dare a chi ti sta accanto un appoggio, quello che deve poter dare un padre».