In un particolare frangente storico in cui la comunicazione la fa da padrona in ogni campo e in tutti i sensi, compreso quello tragico della guerra in Ucraina, le notizie oltreché date talvolta vanno anche spiegate, se non addirittura interpretate. Soprattutto quando riguardano una materia delicatissima quale quella sanitaria e ancor di più un trattamento salvavita come la dialisi per effettuare il quale nel 90% dei casi bisogna recarsi in ospedale o nel presidio clinico attrezzato per un certo numero di volte alla settimana, generalmente tre, sottoponendosi per diverse ore allo svuotamento dei liquidi in eccesso presenti nel loro corpo e alla depurazione del sangue dalle scorie azotate.

Ecco allora che la possibilità dell’interruzione già lunedì prossimo del trasporto dei malati, garantito da cooperative e associazioni di volontariato a cui in provincia di Catanzaro non vengono rimborsate le spese di carburante dalla scorsa estate, non può non destare il massimo allarme. Ma perché si è arrivati fino a questo punto, ovvero a sfiorare (se non persino a finirci dentro) un’emergenza dalle gravissime conseguenze? Il motivo è legato - lo si ribadisce - alla mancata corresponsione da parte dell’Asp (organismo deputato a farsene carico in base a quanto prevede la legge) dei fondi utili a coprire il chilometraggio dei percorsi effettuati con ambulanze e automediche dalla residenza del dializzato alla volta della struttura in cui vengono assistiti.

I finanziamenti dunque per adesso (almeno a breve, insomma) non arriveranno, come detto a LaC da uno dei responsabili dei sodalizi che si occupano del servizio di trasporto, Osvaldo Catania. Che si è confrontato con l’Asp, non ricevendo la risposta auspicata: tempi certi, anche se non a stretto giro magari, sui pagamenti del carburante, il cui prezzo è peraltro schizzato alle stelle dopo l’invasione russa ai danni dei “confratelli” ucraini. Ragion per cui, come al solito, chi ci andrà di sotto sarà la parte debole, vale a dire quanti necessitano di una terapia essenziale per svolgere la fondamentale funzione che per la patologia cronica da cui sono affetti i loro reni non riescono più a espletare senza l’ausilio delle macchine. Un aiuto del quale non possono dunque essere privati. Mai.

È quindi scontato che il trasporto dei pazienti, prima e dopo il processo di lavaggio ematico, vada garantito per circa 18 ore al giorno, considerato i vari turni di dialisi. Che in linea di massima si interrompono (salvo il precipitare delle condizioni di qualche dializzato per cui si è sempre operativi) unicamente nelle cosiddette ore piccole. Ma la domanda chiave è cosa accadrà ora? Semplice, se davvero si bloccherà tutto, dovranno essere gli stessi ammalati, se patentati e automuniti, a guidare in prima persona, anche se si sa come il trattamento dialitico sia fortemente debilitante. Mentre coloro per cui questa ipotesi non è praticabile dovranno affidarsi ai congiunti o ai parenti. Che, è chiaro, non tutti hanno, quantomeno disponibili per diverse volte a settimana a orari talvolta fissi talaltra variabile. Senza contare come non sia affatto scontato che per la totalità delle famiglie coinvolte anticipare le spese di benzina o gasolio richieste di molti mesi non crei problemi di natura economica. Spesso pure ingenti. L’auspicio, quindi, è che arrivi un’ultima mediazione risolutiva da domani al prossimo 14 marzo per evitare situazioni preoccupanti.