Il povero Berlusconi si è dovuto precipitare in Europa per tranquillizzare i vertici delle istituzioni europee rispetto alle intemperanze anti europee di Salvini e Meloni. L’ultima che hanno combinato i due sovranisti litiganti:  aver votato pro Polonia nel Parlamento europeo, in questa delicata partita ingaggiata da alcuni stati dell’est Europa governati dai conservatori nazionalisti.

Il vecchio Cavaliere sta provando a giocare la partita del Quirinale coinvolgendo sia la Meloni che Salvini, tra non pochi malumori dell’ala filo governista di Fi. Il leader azzurro ha bisogno di una intesa unitaria con il leader del Carroccio e con la leader di FdI per arrivare al suo obiettivo. Un’impresa ardua riuscire e tenerli uniti, ma soprattutto impedirgli di fare errori fatali. Il voto nel Parlamento europeo a favore della Polonia è stato un errore. Berlusconi, consapevole dello scivolone dei suoi alleati, ha dovuto di tranquillizzare i vertici del Ppe, a cominciare dalla Merkel, che nel suo ultimo Consiglio europeo ha provato a mitigare la crisi istituzionale innescata dalla sentenza della Corte Costituzionale polacca sulla supremazia del diritto nazionale rispetto alle norme comunitarie.

Una posizione quella polacca, considerata quasi una insidia eversiva per la tenuta della stessa Europa. Una sorta di tradimento ai trattati precedentemente ratificati. E, d’altronde, la ragione del contendere è nota. Da anni l’Europa contesta alla Polonia la violazione del diritto europeo, in particolare, in tema di indipendenza della magistratura e dei media, aborto e diritti degli omosessuali. Malgrado la ferma posizione delle istituzioni europee, la Polonia non arretra e afferma la sua legittimazione, quale Stato sovrano, a legiferare su questioni ritenute di massima importanza senza che il diritto europeo possa condizionare l’applicazione delle leggi nazionali.

La decisione polacca ha provocato la dura reazione  da parte della presidente della commissione europea Ursula von derLeyen. Il nodo polacco, infatti, nei prossimi mesi rappresenterà uno spartiacque importante nella battaglia politica per la difesa della struttura europea. Ecco perché il voto di Salvini piuttosto che la Meloni, ha messo in allarme le forze europeiste, in considerazione del fatto che la Lega sostiene il governo Draghi. Lo stesso premier è stato messo in imbarazzo dalla posizione del Carroccio al parlamento europeo.

La questione innescata dalla Corte costituzione polacca, infatti, innescherà una dialettica politica in seno all’Europa che sarà uno spartiacque fondamentale tra le forze conservatrici, popolari, liberali, socialdemocratiche e socialiste di ispirazione europeista e le forze sovraniste, neo nazionalistiche e populiste che negli ultimi anni hanno conquistato alcune cancellerie europee dell’est e che vedono l’Europa solo come una sorta di bancomat. La Polonia e l’Ungheria di Orban in primis. Quello in atto è uno scontro di valori, apparentemente può sembrare una battaglia di natura formale, quasi burocratica, invece va ben oltre la sostanza e riguarda la stessa visione della democrazia, della libertà di stampa e dell’indipendenza della magistratura. In una parola: il concetto e il valore dello Stato liberale così come è inteso in Europa.

In questi Paesi negli ultimi anni è andata avanti una visione della libertà e della tutela dei diritti, in alcuni casi, poco conciliabile con i valori della democrazia liberale che hanno ispirato la nascita dell’Europa. In merito alla deriva polacca è illuminante, per comprendere di cosa stiamo parlando la lettura del libro della giornalista conservatrice Anne Applebaum “Il tramonto della Democrazia – Il fallimento della Politica e il fascino dell’autoritarismo”.

La situazione è delicata e potrebbe diventare molto complessa da gestire. Soprattutto dopo l’addio della Merkel che in questi anni ha speso il suo alto prestigio fungendo da mediatrice. Paradossalmente, il testimone di quel prestigio, in Europa potrebbe essere raccolto proprio dal nostro premier Mario Draghi. Alla luce di ciò, la posizione di Salvini in sede europea, è evidente che metta in imbarazzo non solo Berlusconi ma rischia di minare la credibilità dello stesso premier italiano.

Salvini, dunque, ancora una volta scivola su argomenti che dovrebbero connotare l’identità politica di una forza come la Lega che, almeno in passato, è stata il punto di riferimento di ceti imprenditoriali del nord e del nord-est, i quali,  sanno cosa significa il valore delle istituzioni europee e del mercato dell’Unione. Inoltre, la posizione salviniana, evidenzia la confusione politica sulla natura identitaria e politica del Carroccio, un gap culturale, destinato a pesare sui futuri equilibri politici nazionali.

Il dramma di questa intricata “questione politica italiana” lo evidenzia in un certo senso lo stesso Berlusconi, ormai fedele alla causa europea. L’ex premier azzurro, infatti, ha dovuto precipitarsi a tranquillizzare il Ppe sull’affidabilità dei suoi potenziali alleati, e non potendo disporre di solidi argomenti politici per tranquillizzare i vertici del Partito popolare europeo e delle istituzioni europee, ha dovuto ricorrere a giustificazioni di tipo paternalistico: "Al Ppe nessuno era preoccupato. Si fidano di me, mi conoscono da tanto tempo", e poi Matteo Salvini e Giorgia Meloni "hanno la metà della mia età. Io sono il professore e loro gli allievi..." – ha dichiarato il leader azzurro incalzato dai giornalisti-.

Nonostante le tranquillizzazioni del Cavaliere, il problema politico rimane, ed è abbastanza pesante. Salvini è sempre nel guado: scelta liberale ed europeista oppure la tentazione sovranista? A inizio estate sembrava che la posizione della federazione unitaria con Fi lo stesse spingendo verso la prima ipotesi. Anche la posizione di sostenere il referendum radicale sulla giustizia lo aveva accreditato verso questa direzione.

La febbre elettorale ha vanificato quello sforzo. Le posizioni su green pass e vaccini e il movimentismo rispetto al governo, lo hanno spinto verso la deriva di posizioni lepeniste nella competizione con la Meloni. Un errore che rischia di diventare fatale. Il risultato elettorale avrebbe dovuto rappresentare il campanello d’allarme per il leader del Carroccio, per lo meno, nella comprensione del fatto che, la sfida è tutta politica, e non è quella di vincere la guerra dei sondaggi con la Meloni sul terreno del lepenismo o peggio dell’orbanismo di casa nostra, ma nella capacità della Lega di trasformarsi in un’autentica forza neo liberale ed europeista.

Non sarà l’aggiustamento di facciata sulla presunta unità con la leader di FdI ad invertire la tendenza elettorale del centrodestra e della Lega in particolare, tra l’altro, sbriciolata in un attimo dalla diffusione di un audio rubato, ma la linea sulla quale attestare la Lega che ambisce a governare il Paese. Il resto sono chiacchiere. Demagogia sterile.

Sullo sfondo le partite politiche sono tutte aperte, non solo quella per il Quirinale, ma anche le manovre al centro politico, uno spazio che è diventato nuovamente di moda. A riprova di ciò, i mal di pancia dentro Forza Italia, le prese di posizione di Coraggio Italia di Brignano e Toti, le manovre di Renzi, l’irruzione sulla scena a di Calenda, tutti soggetti con lo sguardo rivolto al centro. Tutti pronti a raccogliere l’eredità politica di Fi. E d’altronde, per le forze in campo, anche per l’elezione della prossimo presidente della Repubblica, il centro potrà diventare determinante.