La candidatura individuata dal Pd, LeU e M5s, Maria Antonietta Ventura, almeno sulla carta, potrebbe essere quella giusta. Donna. Profilo adeguato a competere con la destra. Imprenditrice di successo. Presidente calabrese dell’Unicef. Nessuna tessera in tasca. Tutti ingredienti che potrebbero essere seduttivi per un certo elettorato moderato, soprattutto in prospettiva del crescente dissenso che sale dal centrodestra, in conseguenza della soluzione individuata, ovvero, l’accoppiata Occhiuto/Spirlì.

Ventura nome buttato nell’arena senza organizzare un minimo di consenso

Un profilo così appetibile, come minimo, avrebbe dovuto essere presentato facendo tutti i passaggi politici tesi a garantirne il massimo del consenso, a cominciare  da quello interno. Ciò avrebbe dovuto essere la prima, delle condizioni necessarie al centrosinistra per mettere in sicurezza la soluzione individuata e, soprattutto, renderla competitiva sul piano elettorale. La seconda condizione, avrebbe dovuto essere il riequilibrio a sinistra di una candidatura di tipo moderato, anche perché, il blocco sociale che si sta aggregando intorno a de Magistris è un fianco pericoloso per l’alleanza “giallorossa”.

Tali condizioni non solo non sono state create, ma sono state addirittura omesse. Il rischio, a questo punto, è che la soluzione possa registrare un risultato peggiore di quello realizzato da Callipo. Forse è tardi per aggiustare il tiro. Conte, Letta e Speranza, troppo frettolosamente, ci hanno messo la faccia, difficilmente, torneranno indietro per correggere il metodo. La giustificazione della dirigenza romana ai rappresentanti calabresi appositamente convocati ieri pomeriggio, non lascia spazio a ripensamenti: “Quella della Ventura è l’unica candidatura in grado di garantire l’alleanza con il M5S” hanno comunicato all’unisono Boccia e Letta. E forse era questo il vero obiettivo romano, costruire un feticcio politico, utile, magari, ai progetti futuri di Conte e Letta. La Calabria luogo cavia della politica da sempre. Tradizionale laboratorio di operazioni spregiudicate, anche perché, in fondo, di questa terra non frega niente a nessuno.

Dalla Calabria, nella riunione di ieri pomeriggio si sono registrate deboli proteste, qualche consigliere regionale, l’ala sinistra del partito. Forte, invece, il dissenso del movimento delle Sardine, con la ferma presa di posizione di Jasmine Cristallo.  E tuttavia, questa è! Fine della storia. Ha prevalso il solito e usurato schema dei gruppi dirigenti romani che, al netto dei disastri della dirigenza locale, hanno la capacità di peggiorare le cose. Basta solo ricordare i disastri sul commissariamento della sanità, compreso l’individuazione di pessimi commissari, per rendersi conto che, per certi aspetti, i gruppi dirigenti nazionali, in questo caso quelli del centro sinistra, sono peggiori (forse) dei gruppi dirigenti locali. È la crisi della sinistra bellezza! Una crisi strutturale ormai, determinata dalla mancanza di visione di una classe dirigente  mediocre. Mediocrità della classe dirigente; incapacità ad indicare una visione politica della società. Invertendo i fattori, possiamo tranquillamente affermare che ci troviamo di fronte al classico “gatto che si morde la coda”.

È inutile sottolineare che un tale contesto, è aggravato, altresì, dalla propensione naturale del Pd a trasformare tutto quello che tocca in puttanate, una sorta di Re Mida a rovescio. Con tali premesse, la scelta di Maria Antonietta Ventura rischia di trasformarsi nell’ennesima débâcle elettorale e politica per il Pd e per tutto il cucuzzaro.

E, d’altronde, se non si costruisce la squadra con le forze politiche che operano sul territorio, la partita, si può perdere senza neanche entrare in campo, o peggio, pur entrando in campo, senza toccare palla. Approssimazione, dilettantismo, approccio verticistico, incapacità comunicativa, hanno prevalso nell’annuncio della candidatura.

Il nome di Maria Antonietta Ventura, è stata buttato nell’arena senza organizzare quel minimo di consenso necessario, almeno con una parte significativa dei gruppi dirigenti del territorio. Le adesioni alla candidatura, in queste ore, appaiono più adesioni di facciata piuttosto che,sincera convinzione. La velina alla napoletana, commissionata ad una sola testata, da parte di Stefano Graziano, al fine di anticipare la candidatura, da un lato ha dato la sensazione che tutto è stato confezionato alle spalle della stragrande maggioranza del popolo del centrosinistra, dall’altro lato, invece, ha messo in evidenza il piccolo provincialismo di colui che vuol far sapere al resto della galassia piddiota: “qua comando io”.

Dem calabresi frammentati

I democrat calabresi  sono frammentati e parcellizzati in numerose correnti e sottocorrenti costituite da capi, capetti, capi bastone e capi rione. Una torre di Babele ingovernabile, tranne che, dai consolidati ed eterni marpioni, i quali, conoscono il territorio, i dirigenti e gli amministratori di tutta la regione. Questo complicato universo Pd a sud del Pollino, da due anni, è stato affidato a un commissario napoletano, il quale, antropologicamente è peggiore dei più imbarazzanti capi corrente della sinistra calabrese. Inadeguato a governare la complessa tela territoriale della dirigenza PD.Con queste premesse, il dado è drammaticamente tratto. Per intenderci, uno come Nicola Adamo, al commissario Stefano Graziano, se lo porta a passeggio con un lecca lecca in mano come un fanciullo al luna park. Magari facendogli intravedere la possibilità di una candidatura nel listino della Camera alle politiche del 2023. Uno come l’ex consigliere regionale, personaggi come Graziano, se li mangia a colazione, pranzo e cena, riuscirebbe anche a vendergli la Fontana di Trevi, come Totò nella famosa scena del film Totò truffa '62.

Ancora una volta, dunque, nel Pd va in onda il solito cliché: salvaguardare rendite di posizione, preordinare carriere, pianificare candidature. Pronti a mettere in conto qualsiasi operazione, anche la più spregiudicata pur di raggiungere i propri obiettivi. E, d’altronde, era già successo con un altro commissario, D’Attorre, il quale si è costruito la sua legislatura alla Camera, in cambio della prima legislatura alla Bruno Bossio. Forse ora, in ballo ci sarebbe una legislatura per Graziano e la terza per la Bruno Bossio? Tutto è possibile in questo Pd.

Del futuro della sinistra. Di battere il centrodestra. Del futuro della Calabria. Non interessa nessuno. Pur di mantenere le proprie nicchie di potere, sono pronti a giocare la loro partita a perdere. Perdere, resistere, rinascere dall’opposizione, magari alla prossima legislatura. Tutto ciò, per lor signori, è meglio che vincere, rinnovare e magari ritrovarsi tra i piedi qualcuno che non potranno controllare.

La sconfitta di Callipo

Un classico nella sinistra italiana, in particolare, di quella calabrese. Un anno fa, le belve feroci che da lustri banchettano sulla carogna della sinistra locale, divorarono Pippo Callipo. E, tuttavia, anche la candidatura del re del tonno, fu il frutto degli errori di valutazione romana, venne catapultata dall’alto e percepita come un corpo estraneo al popolo del centrosinistra. Il lavoro sporco, ieri come oggi, fu lasciato alla rozzezza politica del commissario Stefano Graziano. La scelta si rivelò fatale. La sconfitta fu cocente. Errore più sconfitta si trasformò in disfatta, allorquando, Pippo Callipo, mollò tutto e si dimise dal Consiglio regionale. Il tutto, senza un briciolo di giustificazione. A Roma come in Calabria, nessuno sentì il bisogno di aprire una discussione su quella disfatta. Anzi, tutto passò rapidamente in cavalleria.

Gli attori di un anno fa, sono gli stessi di oggi. Nulla è cambiato. A Roma, infatti, nessuno ha pensato di licenziare in tronco il responsabile di questo disastro. Anzi, gli hanno affidato anche la gestione delle elezioni regionali prossime. Errare humanum est, perseverare autemdiabolicum. Diabolicamente idioti? A quanto pare si.  

Già il solo fatto di insistere nel mantenere nel ruolo di commissario regionale del Pd uno come Stefano Graziano, se non è da idioti, poco ci manca. Qualcuno dovrebbe rammentare a Conte, Speranza e Letta che, allo stato, il commissario del Pd, congelato nella sua funzione da Letta in persona dopo le finte dimissioni sulla vicenda Irto, ha fatto deragliare il “progetto Callipo”, il tavolo unitario del centrosinistra, la candidatura di Nicola Irto e ogni ipotesi di dialogo con il civismo. Il resto è cronaca.

Il Pd e i suoi dirigenti rischiano di distruggere tutto quello che toccano. Quasi come una maledizione. È evidente, a questo punto, che se il Pd romano non cambia rotta, approccio e uomini nella gestione della pratica Calabria, il rischio che anche la candidatura della Ventura, possa rappresentare una nuova battuta d’arresto, piuttosto che una nuova ripartenza è altamente probabile.

I dirigenti nazionali del Pd hanno una capacità innata nella trasformazione di un’opportunità in un disastro. La guerra tra le aree democrat è sempre di più, senza esclusioni di colpi. Affidare la gestione delle elezioni e delle dinamiche territoriali ad uno come Francesco Boccia, è come affidare ad un macellaio la direzione del reparto di neurochirurgia. La comunicazione della candidatura è stato un capolavoro di approssimazione tattica e politica.

La conferenza di Oliverio

Senza un minimo di consulto, almeno con gli attori più rappresentativi del territorio, è difficile che si possa andare molto lontano. E forse non ha tutti i torti, l’ex presidente della regione, Mario Oliverio, quando in una conferenza stampa appositamente convocata, accusa che la stragrande maggioranza del Pd, è stata estromessa da ogni decisione e che, un gruppo ristretto, senza nessuna legittimazione, costituito sostanzialmente da 5 consiglieri regionali, due parlamentari e il commissario si sono abbarbicati in un fortino decidendo senza consultare nessuno.

L’ex governatore, inoltre, fa capire senza mezzi termini che, se non si cambia rotta, è pronto ad andare fino fondo, contrastando in tutti modi una tale deriva. In un quadro del genere, è abbastanza chiaro che il centrosinistra corra verso l’impatto fatale, con la stessa forza della locomotiva di Guccini. Ce ne sarebbe abbastanza per indurre Letta a sollevare le natiche dalla poltrona del Nazareno e scendere in Calabria  a parlare personalmente con gli attori del territorio: un partito non si governa in remoto.

Se il segretario democrat comprenderà che questa partita, non è più delegabile, né a Boccia né tantomeno a Graziano,  forse ancora ci sono le condizioni per cambiare il destino della sinistra calabrese e le sorti dell’alleanza con i pentastellati. Diversamente, l’asse Letta/Conte farà la stessa fine del Titanic.