Il suo tour in Calabria è stata una ventata di ossigeno. Basterà lo show “contiano” e l’energia delle sue “bimbe” per rianimare un centrosinistra agonizzante e reso inaffidabile dalla gestione politica commissariale del Pd?
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Giuseppe Conte è l’unico leader politico nazionale che ha riempito le piazze in Calabria in questa anestetizzata campagna elettorale regionale. Il primo leader politico post pandemia che ha sfidato il distacco di un popolo verso una politica ormai percepita distante dalla gran parte dell’opinione pubblica calabrese e dei loro bisogni. Basti pensare che nelle ultime competizioni regionali l’elettorato che ha inteso partecipare attivamente alla consultazione, si è collocato ben al di sotto del 50%. L’ultimo politico che era riuscito a riempire le piazze era stato Matteo Salvini due anni fa. Da allora sembra passato un secolo.
Giuseppe Conte, dunque, allo stato, è il politico che più di tutti sta capitalizzando la popolarità derivata dai due anni di governo, e in particolare, quella conquistata durante la gestione della pandemia. Una popolarità che qualche mese fa era certamente più alta ma che ha dovuto fare i conti con Grillo prima e con l’estenuante braccio di ferro per definire tempi, criteri e piattaforma su cui votare per confermare la sua leadership. Nonostante ciò, la sua popolarità e il suo gradimento risulta essere ancora notevole, tanto da mobilitare la gente e portarla in piazza. Conte è l’esempio calzante di quanto avevo scritto nel mio precedente pezzo sull’utilità del voto: il consenso espresso sotto forma di voto carismatico (leader oriented)”. Il gradimento all’ex Presidente del consiglio, infatti, non è verso il suo movimento politico, che combatte invece per la sopravvivenza, ma verso il suo leader. È un gradimento di tipo personale.
Il suo tour in Calabria, comunque, per la coalizione Pd-M5s, guidata dall’opportunismo allo sbaraglio dell’oligarchia democrat, è stata una ventata di ossigeno. Basterà lo show “contiano” per le piazze calabresi e l’energia delle “bimbe di Conte” per rianimare un centrosinistra agonizzante, spento e reso inaffidabile dalla gestione politica commissariale del Pd? Difficile prevederlo a pochi giorni dal responso delle urne. Dietro l’angolo incombe sempre l’evocazione della profetica presa d’atto di Pietro Nenni, all’indomani del fallimento elettorale del fronte popolare Pci+Psi del 1948, “piazze piene urne vuote”. Come è altrettanto dietro l’angolo, la citazione di un altro grande e storico dirigente socialista italiano, Riccardo Lombardi, il quale, dopo la sconfitta della famosa bicicletta, ovvero l‘unificazione del Psi col Psdi, in una sua pacata riflessione affermava che in politica uno più uno non fa mai due. In Calabria, il Pd di Boccia e Graziano, rincorrono, invece, quell’uno più che non dovrebbe fare due, magari da portare in dote a Letta in vista delle elezioni politiche, e tuttavia, proprio lo stato del Pd potrebbe rappresentare l’ostacolo a questo obiettivo.
Giuseppe Conte, in due giorni ha toccato le maggiori piazze della Calabria riempendole tutte, stringendo mani ed entusiasmando i partecipanti. E ciò, è già un miracolo in sé, considerato che, a parte la popolarità e qualche frase copia incolla buona per ogni repertorio, il presidente del nuovo movimento pentastellato non ha espresso una linea, una visione, una prospettiva, una politica, per questa regione. Anzi, come hanno evidenziato alcuni autorevoli colleghi, sulla sanità, per esempio, ha proposto quello che da Presidente del consiglio non ha ritenuto di fare: il superamento del commissariamento.
Nonostante evidenti contraddizioni, la presenza del presidente del M5s, ha colmato il gap di un Pd, ormai ridotto solo a ceto di potere, a tal punto che, i momenti elettorali, quelli cioè che dovrebbero essere costruiti per parlare al “popolo”, vengono invece trasformati in eventi per parlarsi addosso, per lanciarsi segnali interni tra correnti o per improbabili segnali di vitalità all’indirizzo dei vertici nazionali. La distanza tra questo Pd e il popolo calabrese, è ormai siderale. Ne è la prova la scarsa partecipazione popolare alle iniziative di una festa dell’Unità regionale organizzata in fretta e in furia solo ed esclusivamente come raduno di ceto politico.
E allora, pur nel vuoto pneumatico di idee, pur in assenza di un programma, ben venga il “garbo popolare”, l’eleganza dell’eloquio, la retorica soft, di Giuseppe Conte. E ben venga la leggerezza e il folclore delle sue “bimbe” al seguito, almeno, per qualche ora, i calabresi, il popolo di un centrosinistra stanco e orientato a non votare, si sono risparmiate le “mummie della dirigenza democrat” e le loro frasi fatte, sempre pronti a trascinare la storia della sinistra calabrese sull’orlo di un abisso politico e culturale.
Alle amministrative, la congiuntura elettorale potrebbe essere favorevole al centrosinistra in tutta Italia, tranne che nella nostra regione. Nel centrodestra, infatti, Salvini e la Meloni sono così impegnati a farsi la guerra a vicenda da aver boicottato i candidati più competitivi nelle città al voto, e da rischiare una clamorosa sconfitta non solo a Milano, Bologna e Napoli, ma persino a Roma. Solo il risultato della Calabria potrebbe non fargli perdere la faccia e, infatti, Salvini, si è trasferito da mesi armi e bagagli nella nostra regione con l’obiettivo di costruire un grosso risultato a favore della lista della Lega. I Cinque Stelle di Conte, secondo i sondaggi sarebbero destinati al flop elettorale ovunque, e tuttavia la partecipazione del popolo calabrese rivela che il ruolo di Giuseppe Conte in vista delle elezioni politiche del 2023, è tutto in ascesa, a dispetto del voto alle amministrative.
Anche perché, la linea del segretario democrat, è tutt’altro che convincente, al punto che, per mettere qualche puntello, si è scomodato il leader storico di un centrosinistra federato: Romano Prodi. In un’intervista alla Stampa infatti, il professore, fondatore dell’Ulivo, cerca di indicare una linea al suo ex pupillo, suggerisce di iniziare a fare politica, andando oltre le bandierine e gli slogan: «Se il Pd deciderà di spingere per una politica di forte rivendicazione dei diritti sociali (lavoro, scuola, salute, casa) i voti pioveranno». Insomma, il professore avverte che bisogna cambiare passo, sostenendo che la battaglia sui diritti, sulla quale è concentrato Letta da mesi, con il Ddl Zan e Ius soli, se non viene integrata da proposte sulla questione economica, è destinata a non produrre consenso. «L’affermazione dei diritti individuali avviene solo se esiste una rete sociale».
Il Pd – avverte Prodi - inizi ad occuparsi dell’agenda economica di governo, che coinvolge tutti, se vuole andare oltre le percentuali under 20% cui appare inchiodato nei sondaggi. È evidente, che in un contesto del genere, con un quadro programmatico così carente di visione, la stessa leadership di Letta appare molto precaria e, seppur Letta spera di poter cantare vittoria il 4 ottobre, la rincorsa per le politiche del 2023 sarà lunga, e non è escluso che questo Ps e tutta la galassia del centro sinistra, ad un certo punto, potrebbe aver bisogno di un “federatore” che potrebbe coincidere proprio con il profilo dell’”avvocato del popolo”, Giuseppe Conte, appunto.