"L'unica cosa immutabile della natura umana è la sua mutevolezza"- così Oscar Wilde, il dandy più cazzuto d'Occidente. Sennonché, in politica, la mutevolezza, più che dall'indole di ciascuno, sembra trarre origine dall'ossessione del consenso e dalla variabilità dell'indice di gradimento. Lo sa bene Matteo Salvini, che, stanti "le più ampie intese" del governo Draghi, è stato costretto all'abiura di sè.

La ricognizione storica della vicenda pubblica del Capitano, del resto, ne è prova granitica.
In principio fu Umberto Bossi, il senatùr, la cui canottiera lasciava inabbronzato un pezzo di cingolo pettorale. Il ruvido indumento, in realtà, alludeva all'antropologia del carpentiere padano, incline all'utilizzo di cazzuola, calcestruzzo, coccio pesto e pozzolana. Il Verbo di Bossi, così abbigliato, accese turgori maschi precedentemente taciuti e omessi. Da Grezzago a Brembate di Sotto. Il "celodurismo", nella sua versione primigenia, mosse alla conquista del Nord, a bordo del grido"Roma ladrona!" Il sentire celtico si espanse in ogni dove, come una sorta di patriottismo iperormonale del "particulare" lombardo, di chiara ispirazione antinazionalistica. Una figata mica da ridere!
Nel 2013, l'avvento di Matteo. Il Nostro, di lì a poco, dopo aver dismesso valbrembanesimo, ampolle del Po, elmetti vichinghi ed empiti di secessione, violerà il target d'origine per nuove acchiappanze elettorali: il capocantiere di Battipaglia e (perché no?) il geometra del catasto di Melicuccà.

Salvini, attraverso un triplo salto mortale carpiato, issa il vessillo di un inedito nazionalismo. A tal fine, rivaluta sia Alain de Benoist che il suo contrario, quell'Alvin Rabushka, inventore della flat tax e discepolo dell'ultraliberista Milton Friedman. Come dire: pere, mele e barbabietole senza distinzioni di sorta. Ma tant'è. Ad ogni modo, le elezioni politiche del 2018 premiano il Carroccio e gli conferiscono la golden share del centrodestra. La bandiera di Matteo è tutt'altro che benevola nei confronti dell'Europa. Tanto è vero che, all'epoca, in concorso con Di Maio, osa sfidare il potere finanziario d'Oltralpe, esigendo l'azzeramento dell'italico debito pubblico.

La vicenda che ne consegue, con il Papeete Beach d'Agosto a far da spartiacque, è nota ai più.
Dopo di che, è la volta delle elezioni regionali, che al Sud non rincuorano. Qui la parabola di Matteo comincia a farsi floscia. In Campania trionfa De Luca, che, sul piano simbolico, è il vero e proprio contraltare di ogni virilismo leghista. Il nerboruto Vincenzo, in men che non di dica, ti fotte il copyright del "ce l'ho duro", sospingendoti all'angolo. Siamo al trionfo del Testosterone Ontologico in grado di rapire persino l'immaginario dei forestali di Benevento. In Puglia c'è Emiliano, nel senso di Michele. Del resto, uno che nasce in canestro di basket, da un ovulo di Amedeo Nazzari impiantato nella tuba di Falloppio della Disrettuale Antimafia di Bari, non può non provocare smottamenti di anime in delirio lungo il Tavoliere. Anche se non è possibile rinvenire, tra i suoi gameti d'origine, quello di Domenico Modugno.
In Sicilia si fa largo Musumeci, tutt'altro che creatura di marca salviniana, essendo il frutto di una relazione extrasensoriale tra Franco e Ciccio.

Dulcis in fundo, la Calabria. Qui gli emuli di Alberto da Giussano, dopo aver promesso rivolgimenti epocali in campagna elettorale, per gran parte della legislatura, sono stati derubricati a "garzoni di bottega" dalla tenace Jole Santelli, che li teneva per le palle. L'attualità a noi più contigua non segnala imprese memorabili dal canto del leghismo indigeno, ancorché di stanza(transitoria e casuale) alla Cittadella. In Calabria, la Lega è totalmente sguarnita di classe dirigente. Fatte salve alcune magnifiche eccezioni, tra le quali svetta l'autorevolissimo Cataldo Calabretta, uomo di rara competenza e dalla singolare eleganza istituzionale. Il volto civile del salvinismo calabro, per intenderci. Le cose si complicano ulteriormente, alla luce della nouvelle vague di Matteo, europeista e di ispirazione draghiana.

Ora, in vista delle prossime regionali, per il Carroccio si tratta di ingaggiare uomini e donne moderati e illuminati, che sappiano parlare a clavicole, metatarsi e ventricoli destri e sinistri. La pancia non tira più. E con essa, una certa leadership epidermica e rudemente suggestiva, che, nonostante il make up nuovo di zecca, rischia di smarrire la sua ragion d'essere. Soprattutto alle nostre latitudini. Il popolo, talvolta, è capace di sottili perfidie. Compreso quello dei periti agrari di NordEst, in combutta da sempre con certo Luca Zaia da Conegliano. Ci sono nemesi storiche di straordinaria ironia. Giorgettiana. Lo ha detto pure la televisione.