Parliamoci chiaro: le elezioni politiche della primavera prossima non attizzano alcuno. I banconisti del Palazzo, meglio noti come "accludo federe e tovagliato rustico scozzese", cercano di rifilare ai cittadini il più scadente dei pacchi: la fregnaccia di avere a cuore il consenso popolare.

«Alle urne in primavera» - dicono - mostrando il medesimo entusiasmo di un venditore ambulante di cicorie, quando è costretto a smerciare in fretta un'intera partita di Fabuloso strizzapavimenti avanzatagli nel retrobottega del furgoncino Piaggio. Ovviamente, non parliamo di infinocchiatori di talento, ma - semmai - di spassosi contaballe dalla fisiognomica traditrice.

Talché il fesso che è dentro di noi possa, insperatamente, sentirsi Otto von Bismarck, anche se non capisce una mazza di realpolitik. Esiste la non gracile eventualità di altri ancora più fessi che, ritenendosi titolari del magistero delle tre carte, tentino maldestramente di fotterti, mentre tu hai già fiutato la trastola.

La verità è che l'appuntamento con la prossima consultazione elettorale terrorizza i più. Il centrodestra, che si dice pronto alla battaglia in nome di una presunta omogeneità d'intenti, è lacerato da lotte intestine, al cui confronto la guerra tra Morgan e Bugo sembra un bonario scambio di idee sull'utilità terapeutica dei ciclamini nel contrasto all'artrite reumatica. Dal suo canto, Salvini, proprio lui, prova, seppur timidamente, a dire la sua, nel disperante tentativo di porre argine a Giorgia e i suoi fratelli, nonostante questi ultimi abbiano dimostrato di avercelo "politicamente" più lungo. Lo dicono i sondaggi.

Del resto, se smetti di parlare alla pancia per rivolgerti al più sgamato pancreas del Paese, il minimo che ti possa capitare è che non ti voti neppure l'assessore municipale ai cimiteri di Gardone Val Trompia. Non ti resta che il prestito della canna del gas di Forza Italia, a tratti in rianimo.

Di contro, il centrosinistra, in questa fase, mostra evidentissime pezze al culo, nonostante la retorica smunta delle alleanze più ampie. Il Pd, in men che non si dica, è passato dal "campo largo" al "cappio stretto" dei grillini, ormai esalati nella nuvola di fard di Di Maio, il quale annovera tra i suoi piaceri l'inattesa, delicata carezza alla calendula di Calenda. Purtuttavia, Letta, incredibilmente, proprio grazie all'afasia della sua leadercippa, rischia di ottenere un buon indice di gradimento elettorale. A patto che rinunci alla domanda «Te piace 'o presepe?», indicando agli italiani il pochettato Conte. Viceversa, potrebbe beccarsi la solita risposta: «No, nun me piac», intonata da una nutrita truppa di Cupiello democrat e non.

Nel frattempo, Giuseppi minaccia di minacciare che forse minaccerà di minacciare di mettere il broncio a Draghi, laddove il Divino Mario dovesse negare un bonus da venti euro alle parrucchiere di Brindisi. Ce lo chiede la base. Rousseau? No, Jean Louis David. Con questi chiari di luna, è oltremodo evidente che quasi tutto il cuccuzzaro non sarebbe pronto alla tornata elettorale nemmeno tra tre pandemie, compresa quella, di là da compiersi, della novella aviaria da pollame palestinese o da tacchino neozelandese.

E allora? Del voto "urgente", al netto dell'agenda imposta dal virus e dalla guerra, se ne fottono tutti. Lo si sappia: se ne impipa pure l'Udc, il cui appeal, in verità, è pari a quello della strofa di una canzone di Ana Mena. Se poi, a tutto ciò aggiungi la sciagurata, autolesiva legge sul taglio della rappresentanza parlamentare, il «si salvi chi può» si fa imperativo categorico. Cosa volete che sia! Anche per oggi non si vola. Tutti sottocoperta. «Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo perso dentro i cazzi suoi».