Dentro l'emisfero digitale gli annunci della morte di personaggi famosi ci raggiungono in vorace e velocissima sequenza. Volti e figure, da sempre inquilini dell'immaginario, disertano d'improvviso la consuetudine di abitare le nostre vite. Per contiguità televisiva, per vicinanza simbolica. Apprendiamo, con altrettanta celerità, di scomparse che riguardano la latitudine di facebook: se ne vanno amici virtuali che avevi incrociato lungo le tue erranze in web.

La rete si incarica di renderti immediatamente nota la Morte. Che non è più faccenda di altri, ma irrimediabilmente tua. A maggior ragione, nel tragico frangente pandemico. Cosicché la Grande Consolatrice, abbigliata da notizia ininterrotta, possa ballarti intorno, prenotare i tuoi treni, salire sui tuoi taxi, usurparti gli specchi o qualche brandello di poesia misto al tuo fard in disuso. La vedi tramutare in percezione nettissima. Talvolta, ama aggirarsi nelle prossimità di un annoiato caffè o sul dorso dell'ultimo millimetro della tua sigaretta.

La morte, ormai resa molecolarmente manifesta da impietose piattaforme multimediali, dimora laicamente presso le cronache di un'attualità empia, che ne divelte quasi il solenne mistero, lacerandone gli abiti talari di scena. Essa pretende di accovacciarsi tra le pigre sonorità di un innocuo pomeriggio di primavera. Ogni tanto la senti muovere passi di rumba a ridosso dei fondali della notte. O suonare musiche di bronzo, quale insuperata orchestrale della campana di Hemingway.

Ti sorveglia. Non molla. Dispone di soldati simbolici sempre attenti. Di guarnigioni che presidiano le tue insonnie. Trattiene in ostaggio le cellule dell'anima dentro pareti inamovibili. Sparge indizi di sé dentro la regione desolante dell'angoscia. Lei è sovrana su qualsivoglia, residuale ragionevolezza. L'idea della morte, al tempo di internet più che in passato, confisca ogni altro sentire. Invade le paludi dell'Es. Potente e dispotica, detta lo spartito greve, il ritmo delle arterie. La rapsodia delle emozioni. La senti sporgere dal freddo schermo di intensive terapie su larga scala. Dai monitor di infernali aggeggi tecnologici. E, paradossalmente, proprio per questo, interrompe ogni virtualità per farsi corpo. Carne. Pulsione. Vibrazione ardita non più sacrale. Ti vive addosso con inaudita sfrontatezza, smarrendo la sua indicibilità. L'arcano. Come solitaria e decifrabilissima orchestrale della campana di Hemingway.