Il Sublime Contabile, al secolo Mario Draghi, è e resta un tecnico. Spetta invece alla politica decidere cosa e se va fatta. Ora a scegliere chi governa sarà un’umanità variegata e policroma con un denominatore comune: le scatole piene
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Spetta alla politica decidere se e per quale ragione le cose debbano essere fatte. La tecnica, al massimo, può stabilire come. Quest'ultima, infatti, non dischiude orizzonti di senso né traccia scenari. Non a caso, in greco antico, "téchne" significa perizia, abilità e padronanza delle regole di un mestiere. Arte del fare. Ergo, il fine vanta una sua sovrana irriducibilità al mezzo.
La politica detiene un inderogabile primato: è esercizio di Visione. Disegno.Per questo non può negoziare la sua aura a vantaggio di questo o quel sapere specifico. Non ce ne voglia il Sublime Contabile, Mario Draghi, se osiamo "profanare" la mistica dello specialismo per eccellenza: l'efficienza di marca iper-razionalistica. Del resto, persino lui, il Ragioniere planetario (sulla carta imperturbabile dall'eco della società brutta, tracagnotta e sudaticcia) si è lasciato irretire dalle lusinghe del consenso popolare.
Ha addirittura indicato gli italiani come "mandanti" della sua sopravvivenza a Palazzo Chigi. Gli italiani? Ma davvero? Non sicuramente quelli del Petrolchimico di Venezia, tantomeno gli allevatori di bufali della Piana del Sele, ma-più malinconicamente- un po' di sindaci scendiLetta, il gruppo Abele, Esaù, le figlie di Lot e due focolarini di Campobasso. Quando non ti filano di pezza nemmeno gli sbandieratori di Cava de' Tirreni, è chiaro che hai la stessa popolarità di un cortometraggio di Shingo Tamagawa.
Che ti aspettavi? I bagnini di Fregene o i tassisti di Tiburtina in processione? Loro, in qualità di umanità verosimile e pulsante, rude e verace, stanno con Matteo, che al basso ventre è in grado di parlare. "L'ombrellone è mio e lo gestisco io". Come dire, la riedita virilità "celodurista" al potere con tanto di metafora fallica. Altro che parrocchiette e gigli candidi dalle pudiche gote alla Franceschini! Il sospetto che il Divino Mario intrattenga scarsa consuetudine con gli umori dei battilamiere di Malvito può dirsi fondato.
D'altro canto, se affidi i tuoi destini a tale Enrico Letta, timorato di Dio, del mondo, della vita e del mare aperto, non puoi confidare in vertiginosi successi. L'officiante del Pd, infatti, non è mai sul pezzo. Gli mancano i tempi comici e sinfonici. Mai un guizzo, un sussulto, un generoso scatto verso ciò che resta di netturbini e meccanici tornitori. Siamo, piuttosto, al trionfo del "mammone" istituzionale, la cui unica missione è quella di mettere in salvo la "matria sindone" di Mario, come vessillo elettorale in teca. Roba al cui confronto Edipo e Norman Bates di Psycho fanno la figura dei dilettanti. Enrico non ama imbrattarsi di popolo. Non di sangue né di merda. Il suo fine ultimo è quello di tumulare l'intera vicenda storica della sinistra italiana. Purtuttavia, i sondaggi ne premiano il rigor mortis. Misteri della fede!
A ben vedere, però, il metapartito per eccellenza (a sua volta senza popolo) è Forza Italia: coincide ontologicamente con il corpo atemporale di Berlusconi. Indifferente alle mutevolezze degli indici di gradimento e, soprattutto, alla gracilità della sua classe dirigente. L'annessione degli azzurri, perfidamente meditata da Salvini, ne dilata l'evanescenza. Al punto da far apparire la creatura di Silvio come una sorta di allucinazione condivisa solo dai parenti stretti di Tajani. Cionondimeno, il Cavaliere è capace di inattesi testacoda di ingegno. Intanto, i carrozzieri di San Basilio e di Torpignattara rischiano di farsi avanguardia operaia in luogo dei gloriosi metalmeccanici di Ansaldo. Al grido di "Giorgia, boia chi non sbullona!". Con buona pace dell'agendina di Fratoianni e della cuoca di Lenin.