Vago per la città in convalescenza cercando nei titoli di questo film le lettere del mio nome spazzate via dall’esilio. Siamo rotte tutt’e due
Tutti gli articoli di Innocenti Evasioni
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Provate mai la sensazione di essere fuori sincro? Maledetta Dua Lipa che per raccontare la nostalgia del futuro ha pensato bene di riesumare “Your Woman” dei White Town, leitmotiv delle mie notti aliene di via Velletri. Fa malissimo ma non riesco a smettere. Io e Alexa siamo ossessionate.
Vedo il mio avatar muoversi in differita mentre il mondo va in fermo immagine e divento spettatrice del mio corpo. Risvegliarsi da questo sonno indotto è più complicato del previsto: tu sei cavia inerme e gli altri sono Visitors. Tutto ha un volto familiare ma dietro la maschera c’è un marziano pronto a divorarti come accaduto a Francesco der Tufello, il mio barista, ingoiato da questa extraterrestre bionda che da due giorni si ostina a servirmi il caffè come se niente fosse. Quale sarà la sua missione sulla Terra? Mi domando spaesata mentre goccia dopo goccia mando giù la cicuta che la colona potrebbe avermi rifilato per regalare le mie sembianze a un altro rettile.
Il pensiero della sostituzione etnica mi tormenta mentre ancora sedata vago per una Roma in convalescenza. Siamo rotte tutt’e due. In uno stato di moviola emotiva cerco nei titoli di questo film le lettere del mio nome spazzate via dall’esilio. In fondo mi sono persa e ritrovata infinite volte tra le braccia del Tevere. «Io e Roma siamo uguali: fatte di rovine ma immortali» mi ripeto per farmi coraggio mentre da lontano sento il suono dei miei zatteroni attraversare via Ottaviano per un incontro clandestino con un argonauta. È il 1997 ed io ho 19 anni. Faccio la spesa al drugstore di notte dove tutto costa il doppio ma lo spettacolo vale il prezzo del biglietto. Non so come uno spazio culturale di tale importanza sia stato lasciato morire nella totale indifferenza, mi chiedo mentre le saracinesche abbassate mi fissano languide da quell’angolo di piazzale Clodio dove giace una delle tante me stessa che ho disperso sui sanpietrini assieme ai sottotacchi.
Questo trip nelle mie vite è autolesionista.
Che fine ha fatto il dominicano di Trastevere? E il buttafuori di Chanel? Il pizzettaro egiziano?
L’Akab non esiste più, sui miei giovedì da ragazza finto-ghetto sono passate le ruspe e la pista da ballo è in milioni pezzi come il mio cuore che da Testaccio plana al Pigneto orfano di Nabil portato via dalla peste. Se fossi nel suo piccolo grande bar attaccherei il telefonino alle casse per mandare “Love Again” a bomba, già lo so. E tutti i passanti e i miei avatar farebbero irruzione per ballare a sfinimento fino a scrollarsi di dosso questo magone cucitoci addosso dalle Parche di Roma est.
La pioggia intanto batte su altre vetrine dormienti ed io prego solo che quello del notturno venga a svegliarle a capolinea Battistini come fece con me che avvinghiata alla borsetta aprii gli occhi e sorrisi: ero in un’altra galassia ma ancora viva. Esattamente come ora che dalla mia navicella punto metro A cercando di distinguere amici e impostori mentre il mio respiro cerca tregua nell’apnea di quel passato che sembrava futuro in cui il visitor ero io.
“But goddamn, you got me in love again”, Roma!