Il magistrato romano di origini reggine ne ha per tutti e descrive quello che, in fondo, era proprio il suo “sistema”. Secondo quanto rivela nel libro, Luerti pagò «una sorta di apertura a Berlusconi sulla possibilità di riformare il Csm, e in particolare» l’aver teorizzato «la possibilità che i provvedimenti disciplinari per i magistrati possano essere affidati a qualcuno al di fuori dell’organo di autodisciplina. Ma non poteva essere lui il condottiero del nuovo corso»
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Sta già facendo molto discutere il libro-intervista di Luca Palamara ad Alessandro Sallusti. L’ex presidente dell’Anm ed ex componente del Csm cerca di difendersi dopo la sua espulsione dalla magistratura, in attesa del giudizio sul suo ricorso. Il magistrato romano di origini reggine ne ha per tutti e descrive quello che, in fondo, era proprio il suo “sistema”, quello di cui è stato per anni al vertice prima come leader di fatto e poi come presidente del sindacato, unico ma frammentato, dei magistrati.
Il “muoia Sansone con tutti i filistei” di Palamara non funziona però molto bene: quello che chiama “sistema” ma che nella linea (post?) berlusconiana di Sallusti cerca, con scarsi risultati, di assimilare solo alle “toghe rosse”, finirà probabilmente con il chiudersi a riccio ed identificare l’ex pm romano come la mela marcia che l’autogestita casta dei magistrati è riuscita ad isolare.
Parte corposa del libro riprende il periodo che portò Palamara a diventare presidente dell’Anm, chiaramente identificato con l’inchiesta Why Not di Luigi de Magistris a Catanzaro e con la caduta del governo Prodi. Palamara ricorda il suo predecessore all’Anm, Simone Luerti, ma si guarda bene dal rivangare quella che fu la sua opera di sciacallaggio su quell’episodio e che ne fece uno dei principali beneficiari.
Luerti pagò, forse unico caso in Italia, di non aver detto tutta la verità, ma non davanti ad un tribunale o ad un’autorità giudiziaria, bensì solo ad un giornalista. Una difesa umanamente comprensibile in un momento in cui, più di altri, i giornali, anche con il passaggio diretto di atti giudiziari e soprattutto atti di indagini da parte delle procure, erano utilizzati come armi nella guerra tra fazioni interne all’ordine giudiziario (mai finita) e nello scontro tra toghe e politica.
La “bugia”, o meglio la verità con completa, che Luerti disse a Luigi Ferrarella del Corriere della Sera riguardava i suoi contatti con Antonio Saladino. Luerti aveva avuto come prima sede di assegnazione proprio quella della Procura di Catanzaro, molto prima delle romanzate di De Magistris, ed essendosi formato nel movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, da lombardo catapultato in Calabria è ovvio che ebbe contatti ed amicizie tra i ciellini calabresi. Dopo il suo ritorno in Lombardia, al tribunale di Monza, Luerti che svolgeva attività sindacale nell’ambito di Magistratura Indipendente, la corrente più moderata delle toghe, divenne presidente del sindacato Anm. Secondo quanto rivela nel libro Palamara, Luerti pagò “… una sorta di apertura a Berlusconi sulla possibilità di riformare il Csm, e in particolare” … l’aver teorizzato “la possibilità che i provvedimenti disciplinari per i magistrati possano essere affidati a qualcuno al di fuori dell’organo di autodisciplina. Non erano questi i patti, non poteva essere lui il condottiero del nuovo corso. Mi sembra chiaro – prosegue Palamara - bruciato, fuori uno.”. Bruciato da chi? Dallo stesso Palamara che ne prese il posto?
Palamara ricostruisce la vicenda, usando soggetti impersonali: “Occorreva un pretesto. E allora arriva in soccorso il killer... Passano pochi giorni e sul tavolo del Csm arriva una carta che era sepolta tra le migliaia dell’inchiesta Why Not del pm De Magistris… quello delle inchieste... così così. Sono poche righe in cui si documenta come Luerti avesse pranzato e intrattenuto rapporti con uno degli indagati, il ciellino Antonio Saladino.” Aggiunte a ciò le “indiscrezioni” che Luerti faceva parte di CL, secondo Palamara “non serve molto altro: Luerti finisce nel tritacarne mediatico, soprattutto in tv per mano di Michele Santoro, e, indignato per l’intrusione nella sua sfera più intima, si dimette.”
In realtà a Luerti fu contestato, da alcuni giornalisti, in primis Marco Travaglio su l’Espresso e poi da Santoro in quella che fu forse la più vergognosa puntata di Annozero, di non aver spiegato approfonditamente a Ferrarella i motivi dei contatti con Saladino, che consistevano principalmente nel fa avere all’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella, un invito per un convegno a Milano, organizzato in ambito sindacale, per discutere delle modalità di carriera dei magistrati.
Tanto bastò a Travaglio e Santoro per portare sulla graticola Luerti, su questioni di fede e personali, dileggiarlo con le vignette ricostruite degli “interrogatori”, nel periodo in cui Annozero viveva il suo più grande seguito e far diventare Palamara presidente dell’Anm.
Pablo