Ve lo ricordate il porta zecchino della nonna? Era un piccolo sacchetto di stoffa o di pelle che si chiudeva ad incastro e conteneva i soldi spiccioli, la moneta di piccolo taglio. Ogni dialetto poi aveva la sua declinazione nel definirlo. Di solito le nonne lo conservavano nel seno. Durante i giorni di festa poi, lo tiravano fuori attorniate dai nipoti, i quali aspettavano la distribuzione della cosiddetta “fera”, pochi spiccioli da spendere nella fiera dei paesi. L’aggeggio, dunque, era molto popolare tra i ragazzini. Qualcuno si chiederà ma che c’entra? C’entra c’entra. A guardare l’assemblea dei sindaci che è accorsa ad acclamare Oliverio per una seconda candidatura, infatti, mi è venuto in mente il “porta zecchino” della nonna. Tutta la sceneggiata ruota infatti intorno al “porta zecchino” di Oliverio che poi altro non è che la cassa della Regione.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Qualche anno fa, durante la fondazione del PD qualcuno sosteneva che il nascituro Pd avesse un problema culturale profondo: trovare la via d’uscita da un dilemma tipicamente novecentesco, il bivio fra individualismo e tenuta complessiva della società. Eh la miseria! Avrebbero esclamato Cochi e Renato.  Mario Oliverio ha risolto il problema da se, scegliendo la prima opzione. L’annuncio  della sua auto ricandidatura a presidente della Regione al di fuori dei partiti, infatti, che altro è se non un grande esercizio di individualismo politico?  Dimenticate però trattati e principi di filosofia alla base della scelta di Oliverio. Marx, Lenin, Gramsci, Keynes, Smith, Croce, Bobbio non c’entrano niente nella rielaborazione silana della nuova sinistra calabrese. Tutto ruota intorno al “porta Zecchino”. Una piattaforma semplice semplice,  nella quale Oliverio si sostituisce alla nonna e i sindaci diventano i nipoti in attesa di ricevere la “fera”.

 

In tal senso, infatti, basta ascoltare quanto dichiarato dal sindaco di Rende, Marcello Manna, ai microfoni di diverse testate televisive: «Ho aderito perché mi servono i finanziamenti della Regione». Tutto qua? Tutto qua. Ma come, la Calabria reclama Oliverio, e Manna la riduce a qualche soldo di contributo? Sarà che sono tempi difficili ma la storia è andata proprio così.  Insomma, ci sembra di vederlo Oliverio che chiama al telefono con il “porta zecchino” in mano: «Tu saresti d’accordo su di una mia eventuale ricandidatura? Certo che si! - risponde il primo cittadino dall’altro capo del ricevitore - Grazie, risponde il Governatore. Ecco qua uno scellino! Presidente, visto che ci siamo, vorrei ricordarle che ci sarebbero un altro paio di pratiche in sospeso» -aggiunge il sindaco prima di riagganciare. «Tranquillo il resto più avanti» -conclude il Governatore.

 Sembra uno scherzo ma, sostanzialmente, è quasi andata così. Tanti sindaci hanno confermato la circostanza. E poi c’è a chi è andata un po’ peggio. Al  presidente della provincia di Cosenza, Franco Iacucci, per esempio, è noto a tutti infatti, che l’ex deus ex machina del presidente della Regione, da tempo ormai è in rotta di collisione con lui. E tuttavia, sembra che sia stato costretto  a cospargersi il capo di cenere e a presentarsi in prima fila ad acclamare sua maestà Oliverio. La regione ha bloccato dei  trasferimenti alla Provincia, al punto che sono stati pagati in ritardo gli stipendi e se Oliverio non sgancia il dovuto al più presto staccano anche la luce. Dunque Iacucci è sotto ricatto? Ma no, non esageriamo! Consigli magari, segnali, dai mettiamola così… Le firme alla fine sono state 230, anche se, fisicamente a Feroleto saranno stati una cinquantina i sindaci presenti. Ma che importa. L’acclamazione dei convenuti al T-hotel di Feroleto è stata commovente e Mario, che è un attore nato, ha dato spettacolo. Qualche lacrimuccia,  abbracci e baci si sono sprecati, urla e slogan a go go.  Peccato che fosse una adunata istituzionale, altrimenti un colpo “d’Internazionale” ci sarebbe stato proprio bene. Insomma, una bella coreografia, da culto della personalità tardo sovietica certo,  ma comunque, sempre con il suo carico di fascino. Niente di originale intendiamoci, Nicola e Mario, queste sceneggiate le hanno messe su tante volte. Sfruttare il sentimentalismo insito nella base di sinistra a proprio beneficio è una cinica abitudine dei due storici dirigenti democrat calabresi,  sempre pronti a passare sul cadavere della storia collettiva, sulle regole e sulla carogna di quel che rimane di una comunità che per oltre 40 anni, in Oliverio e nello stesso Adamo ha creduto investendoli di prestigiosi ruoli istituzionali.

 

La sociologa Hannah Arendt sosteneva che “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l'individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più”. Evidentemente a quella base che ancora continua a credere in Adamo e in Oliverio, al netto della mercanzia clientelare,   deve essere successo proprio questo. I due dirigenti bruzi, infatti, non hanno mai celato le loro repentine giravolte interne ed esterne. Dopo essere stati comunisti, socialdemocratici, ulivisti, dalemiani, veltroniani, anti Pd, filo Pd, un po’ democristiani con Fioroni, bersaniani, cuperliani, antirenziani e filo renziani, conquistando ruoli ma in perenne sconfitta ora approdano al civismo apartitico. Insomma,  con questa coerenza ci sarebbe stato tanto materiale per suggerire al più sentimentale dei militanti e seguaci della ditta di “prender cappello e andare via”, così come ha fatto il grosso dell’elettorato Pd di Cosenza e Provincia e, invece no, continua ad esserci e a  resistere un convinto zoccolo duro di sostenitori, i quali sono arrivati  al T-Hotel per applaudire l’ultima spiaggia della politica targata Adamo&Oliverio.  Il nuovo grido di battaglia utilizzato al microfono della sala conferenza del T-hotel, infatti,  ci consegna un Oliverio quasi  sovranista. «Abbiamo bisogno che si mettano da parte le magliette e si costruisca un fronte con un unico obiettivo: Prima di tutto la Calabria, prima di tutto i calabresi». Che un po’ suona come il più noto "l’Italia agli italiani" utilizzato da Salvini.

 

Dunque:  «compagni contrordine,  dimenticate “scarpe rotte eppur bisogna andar…” mollate anche le magliette rosse e, tutti a torso nudo, alla ricerca di alleanze civiche,  d’altronde non è difficile,  in mutande c’eravamo già da un pezzo». Oliverio si scalda, urla  tra gli applausi dei tanti sostenitori “disinteressati” accorsi da tutta la Regione: prima la Calabria, prima i calabresi. A spellarsi le mani qualche sindaco,  manager della sanità, professionisti dalla parcella facile, qualche imprenditore d’assalto, qualche mercenario del sottogoverno. Il delirio raggiunge il suo culmine quando un’autorevole parlamentare posta sui social: “Il popolo degli amministratori incorona Gerardo Mario Oliverio: il Presidente dei calabresi”. È fatta! Oliverio ha finalmente la sua pezza d’appoggio per la ricandidatura. Il PD, le primarie, l’analisi sulla sconfitta che ha portato la sinistra al 12% , soprattutto nella provincia di Cosenza, tutta roba per sfigati. L’assemblea si scioglie, tutti in fila per  sussurrare una “mmasciata” all’orecchio del “Principe”, del programma, delle alleanze, non gliene frega niente a nessuno. Il nocciolo della questione sono le “Mmasciate” che, possiamo immaginare, avessero una sola attenzione: il “porta zecchino” del Presidente. Da marxisisti a zecchinisti il passo in fondo è stato breve.

 

Pablo