È davvero difficile, quasi impossibile, che questo mondo non ci renda cattivi, prima o poi o per brevi momenti. Ci vuole una pelle spessa, un cuore morbido, resistenza, ironia, il buon senso dell’armadillo, ecco. Ma per davvero. La coscienza di Zero, ci vuole. Zerocalcare è di nuovo sul divano a spiegare che anche se siamo protagonisti delle nostre vite non lo siamo delle vite degli altri. Ognuno palpita nel suo ritmo, anche se non lo capiamo, se non ci piace.

Nella seconda sua stagione su Netflix, Michele Rech riesce a rifare il miracolo: scorrere sui bordi, senza strapparli, facendo del dubbio l’unica certezza in grado si salvarci dalla mareggiata di odio che può insudiciare anche gli spiriti migliori.

Cesare, Street Fighter e i Buchi neri

Siamo ancora nel quartiere, Zero è diventato uno famoso, forse le sue storie diventeranno un film. Intorno a lui volteggiano i cervelloni succhiasangue dello showbiz, gli amiconi dal gergo “simpa”, “psuedogggiovane”, portaborsette, promettitutto, faremoditeunastar, spalle offerte per spostarsi di botto quando la festa è finita.

In un quartiere in tumulto, spaccato tra i fascisti-nazisti che un centro di accoglienza per migranti lì non ce lo vogliono, e chi della solidarietà e dell’accoglienza ne ha fatto una filosofia di vita, Zero si ritrova davanti lui, e quasi gli viene un colpo. È Cesare. Cesare è tornato, il vecchio Cesare, quello che a scuola era il più grosso, temuto dai bulletti perché con le sue mani grandi come palazzi, ti mandava dall’altra parte del pianeta con uno sbuffo. L’amicizia tra Zero e Cesare, era cominciata nel posto migliore del mondo, tra i joystick di Street Fighter. Una moneta era saltata fuori per finire un quadro cruciale, l'ultimo, e non c’era stato bisogno di dirsi altro. Era stato una specie di battesimo: Cesare amico di Zero. Amico, di quegli amici a cui dici tutto, ma tutto-tutto, anche le debolezze che i grandi e grossi non possono confidare a nessuno. Poi il buco nero. Le bugie. La comunità. E Cesare è caduto giù.

 

Scappa da sto buco nero, perché tutto quello che sta qua non esiste, sparisce dai radar, come nella Fossa delle Marianne...

Vent’anni dopo, rieccolo lì. Felicità sconnessa. Gioia preoccupata. Briciole di sensi di colpa sparse. E ora che si fa? Che ci diciamo? Intorno, mentre il silenzio s’accorda all’imbarazzo perché non c’hai più nulla da dire a quell’amico ritornato, c’è la battaglia ideologica e sociale per difendere un edificio in cui, come pacchi postali, è stato rinchiuso un pugno di migranti. Nessuno sa come si chiamano, cosa sognano, cosa gli piace, sono numeri e per alcuni, un peso da accollare ad uno Stato abbastanza distratto, che già non sa badare a loro, gli italiani, figurarsi se può badare agli stranieri. Sulle spalle di quelle persone, fuggite dalla Libia, cala il peso di tutta la rabbia sociale di chi si sente abbandonato, ma non può che prendersela con chi è più abbandonato di loro.

Io so uscito de casa sua col magone e con una serie di promesse tipo “Se beccamo la settimana prossima”, “Famo una cena con gli altri”. Quelle cose false com’un vagone de gesuiti ma che se dicono per envocà un futuro prossimo perché se se fermamo a pensà che sto futuro non ce sta, ce pija l’angoscia.

Sarebbe stato molto facile per Zerocalcare, continuare sulla strada della certezza, invece ha infilato la via del dubbio. Zero, ora è quello famoso, fa i cartoni su Netflix, riceve inviti dalla tv. Sì, abita ancora nel quartiere, ma non è seduto nella stessa barca degli altri. Allora si chiede: posso dare lezioni di morale? O devo deporre le armi, rinunciare a difendere quello in cui credo, solo perché io ho successo e gli altri no?

Ma sta cosa dei principi vale solo pe la vita mia? Tutti voi ve siete fatti i cazzi vostri e ve sete sistemati, avete trovato il posto vostro nel mondo e quando tocca a me invece devo perde tutto zitta e muta perché i principi so più importanti?

Tanti interrogativi, pochi punti fermi in questa seconda stagione in cui il tema dell'immigrazione e degli scontri politici di strada, è trattato con una delicatezza straordinaria. Forse Michele Rech, alias Zero, è davvero l'ultimo degli intellettuali, con una dote rarissima, che gli permette di illuminare con lampi folgoranti e  poche battute, gli animi di noialtri. Parla di sé ma sembra parlare di tutti. Racconta il microcosmo della periferia ma dialoga con il mondo. Così i suoi dubbi diventano i nostri, le sue domande ci riguardano. I consigli dati a lui fanno anche per noi. «Io so che ce stanno tre cose che te fanno esse na persona giusta con gli altri: aiutà chi te lo chiede senza sta a questionà, andà al passo del più lento e non lascià indietro nessuno». Così non si diventa cattivi.