Salsicce e Alka Seltzer. È finito Ferragosto. È finito San Silvestro in Crocs e canotta. Adesso via ai buoni propositi per settembre. Dieta, digiuno intermittente, il jogging sempre rimandato, la famosa cena che da un anno all’altro scivola nella dimenticanza. Oh, non ci perdiamo di vista! Detto fatto.

Le spose, ai matrimoni, svengono a ripetizione all’altare, per l’emozione ma più per il caldo che quest’anno se l’è giocata con l’inferno, ai fotografi scivola di mano la camera per il sudore, i camerieri studiano i tableau du mariage insieme ai Green Pass degli ospiti, ma alle porte di settembre pare tutto più sopportabile.

L’estate ha scollinato, discendendo sul dorso della festa incomprensibile che costa auguri da tutto il cucuzzaro, con il suo immondezzaio lasciato agli angoli delle strade e dei boschi come da tradizione. E le tradizioni si onorano.

Mentre sul Tirreno piovono buste di plastica in formato elettorale da parte del solito imbrattatore calvo che si crede un geniaccio e resta un fulgido esempio dell’effetto Dunning-Kruger formato Lega, si vola in discesa verso l’anno che verrà, caro amico, è questa la novità.

A giugno: «Ci pensiamo a settembre», meglio: «Ci pensiamo l’anno prossimo, a settembre». Bene, adesso ci siamo quasi, grattandoci la pancia sui teli umidi si contano le stelle e i canadair che attraversano il cielo come le Pleiadi, tra i rami dei pini, dei faggi, delle querce, si esprimono desideri. Primo fra tutti: fa’ che sia negativo.

Da costa a costa, da montagna a montagna, viaggiano i Whatsapp con i risultati dei tamponi del gruppo "amici". Chi festeggia il pericolo scampato organizza la serata a bere birra e sambuca, a chi dice male mille emoticon con il braccio muscoloso alzato: forza! Sottotesto: meno male che non m’è toccato.

Le quarantene fioccano, specie nei ritrovi affollati del mare, dove i ragazzini scontano l’anno sabbatico assembrando ogni cosa "assembrabile": corpi, bicchieri, sigarette, motorini; le auto in partenza dai luoghi di villeggiatura per raggiungere la location d’isolamento o i laboratori di analisi più celeri di quelli pubblici, inaugurano un esodo diverso. Costumi bagnati e fila per scoprire se quel raffreddore è una variante di virus o una serata senza scialle.  

I bambini stanno attaccati ai telefoni nelle pizzerie a giocare a Roblox o mostrare il trailer del prossimo successo dei “Me contro Te” in uscita tra poco. I due presentano la nuova casa comprata con le nostre spese nelle cartolerie fatte di cuscini gonfiabili e microfoni karaoke da 80 euro con i fili che si staccano dopo tre-minuti-tre.

Ma che devono fare ‘sti figli? È la scusa mormorata aspettando la Bufalina con porcini quando il piccolo si lamenta che la linea è scarsa per far funzionare la videochiamata con compagni lontani, anche loro in pizzeria, anche loro attaccati al telefono.

Intanto questo virus ha fatto da liquido di contrasto per segnalare le incompatibilità affettive che solo le riunioni di condominio riuscivano a evidenziare. Dunque via a liti in famiglia, liti tra gli amici, liti sul nome della variante, liti sul vicino che c’ha il cane che abbaia e che ha una sola dose e chissà perché. C’è quello che scopre che il cognato è salviniano, quell’altro che ammette che si stava meglio quando si stava peggio, quello che vota il tipo amico del tipo che è stato gentile e una volta gli ha stretto la mano e gli ha detto: salutami i tuoi.

C’è un tizio, vicino alla panchina di una piazzetta, che ha stretto a un angolo una signora. Parla di cromosomi e Dna. Fieramente informa che lui camperà a lungo e che l’avventata vedrà tra diciotto anni che le capita ad essersi inoculata quella roba lì. Diciotto anni precisi. Fiero del proprio coraggio, con lo stesso tono del montanaro che spiega al marinaro come si pesca un’orata, mostra i like che il suo ultimo post ha raccolto e come gliel’ha cantate al famoso opinionista sotto la sua foto profilo. Certo, qualche critica dai soliti pecoroni l’ha incassata, ma tanta, tanta solidarietà. Tanti: «...non ti curar di loro…», almeno sette, e questo basta. Eccome.

Lui s’è informato sulla situazione sanitaria globale su un gruppo facebook e sa proprio tutto e parla sciolto. Snocciola premi Nobel, e candidati di Premi Nobel, che la pensano come lui. Loro che hanno salvato la gente dalla Peste Nera, sanno, altro che chiacchiere. «Guarda qua» fa alla signora che finge un dolore al piede per cercare la scusa e ficcarsi nel primo bar, tanto quello il Green Pass non ce l’ha. «Dentro quella roba lì, c’è dietro il giro d’affari di questa banca qua. Hai capito? Hai capito che stanno facendo?».

Lui parla per mezz’ora, conosce dettagli secretati, dice, anche se di mestiere vende mobili usati, perché ha conosciuto uno che una volta lavorava al ministero. Spiega i dati sulla composizione molecolare del siero, scrollando un prospetto che gli ha girato un amico su Messenger. Poi ammette che in questa pandemia ha incontrato un sacco di gente interessante, intelligente, testarda come lui, resistente a tutto questo schifo. La signora ce la fa, si allontana al telefono. Forse è una chiamata vera, forse ha scritto “chiamami” all’assistenza Vodafone.

Qualche giorno dopo, il tizio che sa tutto eccolo fare le valigie e tornare in città, saluta da lontano e ha la mascherina addosso. C’è un positivo in famiglia e la sua vacanza è finita.