Fa il pieno di nomination Jane Campion mentre il regista napoletano dovrà vedersela (di nuovo) con Hamaguchi che gli ha soffiato a gennaio il Golden Globe
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Sorrentino va dritto agli Oscar, punta la porta, e intanto che mangia il campo, sogna la doppietta dopo “La grande bellezza” che la statuetta se la portò a casa nel 2014. L’America lo adora, De Niro lo adora, l’Academy il vintage italiano lo adora (da sempre). Un endorsement plenario del cinema che conta e che conta, eccome, quando si tratta di mettere d’accordo le teste dei giurati che battono il ritmo del premio dei premi.
Ed eccolo, Sorrentino, in corsa nella categoria “Miglior film straniero” a vedersela con Drive My Car (Giappone); Flee (Danimarca); Lunana: A Yak in the Classroom (Bhutan); The worst person in the world (Norvegia). Piange Almodovar, che non ce l’ha fatta a entrare in rosa (salvo per la categoria miglior attrice con Penélope Cruz ancora in lizza), esulta Jane Campion che torna dopo un po’ di silenzio e incassa più candidature di tutti con il suo “Il potere del cane” (Netflix) che pur non essendo la sua opera più riuscita, mette un piede nelle categorie più importanti (regia, film, attore protagonista e non protagonista, sceneggiatura non originale) con un dramma crepuscolare ben fornito di tecnica ma forse troppo frettoloso nella scrittura.
Dopo la delusione di gennaio ai Golden Globes, in cui ha avuto la meglio “Drive My Car”, del regista giapponese Ryusuke Hamaguchi (tratto da un racconto di Haruki Murakami), Sorrentino si prende la sua possibilità di rivincita e marcia spedito verso Los Angeles sottobraccio a Toni Servillo che il suo meglio, quest’anno, lo ha dato nel bel film di Martone “Qui rido io”.
Che piaccia o no, che si tratti di capolavoro o di eccesso stilistico, “È stata la mano di Dio” piace alla critica, anche straniera, che considera il regista erede di una vecchia stirpe di registi italiani la cui fama, un tempo, attraversava in bianco e nero l’Oceano senza fatica.
Quel che conta sarà poi la memoria a stabilirlo, oltre i premi conquistati e oltre i record da incidere. Se sarà un film da ricordare, vedere una volta sola e basta, consumare in tutti gli angoli, o recuperare in tv per una seconda visione, oppure mai più, non è cosa da poter capire ora, in tempo di nomination. Le arie fantasmagoriche, oniriche, gli strappi, le pause e il lirismo costruito attraverso il surreale, che siano solidi o incrinati, ossessioni vere o riflesse, tali da attraversare non solo un braccio di mare ma gli anni a venire, saranno pane per i famigerati posteri, oppure no. Si vedrà.
Sarebbe stata una bella sfida vederlo fronteggiare “Roma”, il cassetto dei ricordi di Cuarón, così vicino a Sorrentino nel recupero di un passato lontano, e così lontano nell’uso della macchina, della fotografia, del taglio. Invece a gareggiare il regista napoletano troverà il dramma di Hamaguchi (candidato anche come miglior regista e nella categoria miglior film e miglior sceneggiatura non originale) che si consuma tra le assi di un teatro e gli interni di una Saab 900 rossa, il film d’animazione di Jonas Poher Rasmussen sul dolore di un passato da rifugiato (in nomination anche nella categoria miglior documentario e miglior film d'animazione), la favola di Pawo Choyning Dorji di un maestro che si trova a insegnare in uno sperduto villaggio a una classe di bimbi e a uno Yak, i conflitti amorosi e interiori di una trentenne raccontati dal regista danese Joachim Trier (candidato anche nella categoria miglior sceneggiatura originale).
Per sapere se la realtà sarà scadente, disunita, non all’altezza di un sogno, dovremo attendere la fine della partita. Non è detto che a un goal capolavoro non ne segua un altro migliore. Lo sapeva Maradona, lo sa anche Sorrentino. Per questo gioca.