"In piedi, campeggiatori, camperisti e campanari! Mettetevi gli scarponi! Oggi fa freddo!" "Qui fa freddo ogni giorno!" Il “giorno della marmotta” ogni 2 febbraio ci ricorda un po’ di cose: che l’inverno fa un po’ come vuole, a dispetto dei presagi; che alle sei del mattino Sonny e Cher sono sempre una buona idea (I got you babe…) e che se la vita sembra un cerchio di routine senza fine, meglio chiedere a Bill Murray come cambiare le cose senza finire in una pozzanghera. Questo due febbraio ci ricorda che quest’anno sono i 30 anni dall’uscita del film di Harold Ramis e che se è vero che a volte i giorni sembrano uguali, il tempo ci mette un attimo a infilare le scarpe da corsa.

Dalla Candelora a Punxsutawney

Il primo 2 febbraio segnato dal muso di Phil la marmotta, fu nell’impronunciabile (per noi) cittadina di Punxsutawney (una pronuncia che suona più o meno Panxatoni), in quel della Pennsylvania, nel remoto 1887. Una breve poesia scozzese recita in rima: «If Candlemas Day is bright and clear, there’ll be two winters in the year» («Se alla Candelora il cielo è limpido, ci saranno due inverni nell’anno»). Si potrebbero riempire i tomi di un’enciclopedia medica robusta, con i detti sul meteo nel mondo. Qui viene tirata in ballo la Candelora (per la tradizione cristiana è il giorno in cui un piccolo Gesù fu presentato al Tempio) ma per i Paesi anglosassoni la data combacia anche con uno dei cross-quarter day, cioè un giorno che cade a metà tra un equinozio (primavera o autunno) e un solstizio (estate o inverno). Per tradizione è una sorta di terra di mezzo tra l’oscurità invernale e l’equilibrio delle stagioni più miti, manna per gli amanti delle tradizioni pagane che sulla Terra e i suoi cambiamenti hanno scritto pagine epiche.

Tutte le strade portano a Woodstock

Ma tornando alla marmotta, al cinema, alla preveggenza e al logorio della vita moderna, facciamo un salto nel 1993. Non siamo a Punxsutawney (forse meglio dire Panxatouni, con una leggera onda sulla ou) ma a Woodstock, Illinois (senza pronunciare la “s”) e per una questione di budget perché le strade per arrivare fino alla ridente contea di Jefferson in cui è ambientata la storia, sono un problema (come si dice? Ogni mondo è paese). Dunque la troupe guidata da Harold Ramis, ripiega sulla contea di McHenry per cominciare le riprese di “The Groundog day”, appunto “Il giorno della marmotta” (che in Italia sarà “Ricomincio da capo”).

Tutto comincia dai vampiri… anzi no 

Un attimo di pazienza ancora per un salto all’indietro di altri due anni. Millenovecentonovantadue. Lo sceneggiatore Danny Rubin è un trentenne a caccia di buone idee ed è seduto in un cinema di Los Angeles per lo spettacolo serale. Sua moglie è a casa con il figlio piccolo e lui preferisce trascorrere la serata in compagnia di un film sui vampiri. Ha già venduto la sua prima sceneggiatura che è diventata il film “Hear no Evil”, con Martin Sheen, niente di memorabile ma gli è fruttato un contatto buono e un assegno come si deve. Tanto è bastato a convincerlo a prendere tutta la famiglia e lasciare Chicago per la California e tentare la strada del cinema senza più considerare il piano B (girare spot aziendali su come risparmiare materia prima e quattrini).

Il suo agente gli ha consigliato di scrivere qualcosa di brillante che gli faccia da biglietto da visita per i pezzi da Novanta di Hollywood. Rubin ha questa idea che continua a girargli nella testa: un personaggio bloccato in un labirinto temporale. Ma dove ambientare questa storia? Anzi, quando? Il protagonista potrebbe attraversare il periodo della Rivoluzione francese, della seconda guerra mondiale. No, troppo costoso. Quindi Dan se ne sta a sgranocchiare pop corn e vedere i succhiasangue che tanto piacciono ai ragazzi. E lì ha l’intuizione. Ricorda quel foglietto con le dieci idee da sviluppare scritto per fissare qualche ispirazione. In fondo all’appunto c’era scritto: “Un uomo rivive sempre lo stesso giorno”. Ambientarlo al presente, ecco cosa si può fare. Niente location bizzarre, niente viaggi nel tempo. Stessa data, stesso posto. A casa, quella sera, accende il suo Toshiba mettendo giù le prime bozze di quello che sarà il suo unico film di successo della sua carriera. Già perché Rubin nel loop ci finirà per davvero. Dopo “Il giorno della marmotta” uscirà pian piano dalle agendine dei produttori. Tutti gli chiederanno commedie sullo stile del “giorno della marmotta” e lui comincerà a dire un no dietro l’altro. Finirà ai margini dell’establishment e a collaborare con la versione italiana del film, quella con Antonio Albanese. Un baratro. Spoiler: dal suo personale giorno della marmotta, Rubin non è mai uscito.

E chi chiamerai? Bill Murray!

Ma torniamo indietro. La sceneggiatura viene rimaneggiata un mucchio di volte. Apparirà e scomparirà la scena della zingara che fa una stregoneria al protagonista, l’idea di un inizio misterioso lascia spazio a un racconto più lineare, il personaggio non trascorre 10mila anni nel loop ma molto meno. Resterà la storia di un meteorologo, Phil (come la marmotta) Connors, cinico e ambizioso, che inviato a seguire la tradizionale cerimonia a Punxsutawney (come sopra) si trova imbrigliato in un giorno infinito che si ripete sempre uguale fino a che non troverà la chiave per spezzare l’incantesimo (una chiave che risponde al nome di Andie McDowell). Intanto Michael Keaton e Tom Hanks dicono di no al ruolo. Ramis apre l’agenda e chiama il suo vecchio amico dai tempi di “Second City” e suo socio in Ghostbusters, Bill Murray.

I due si vogliono bene ma Murray sta passando un brutto periodo a causa di un divorzio complicato e non è proprio un tipo facile se non lo prendi dal lato giusto. Ramis pensa di riuscire a gestire la cosa ma sottovaluta il carattere lunatico del collega e la sua tendenza a sentirsi un alieno appena atterrato a Las Vegas. Sul set in Illinois (senza la “s”), dopo poco, la tensione si taglia con un coltello. Ramis è noto per il suo carattere bonario ma i ripetuti ritardi di Murray, che cerca perdipiù di ridisegnare il personaggio in chiave più drammatica, lo portano a sbottare. Un giorno volano parole pesanti e il regista perde le staffe: afferra Bill dal colletto e lo spinge contro il muro. Segue un silenzio di cemento. Ramis chiede scusa, ma Murray senza dire una parola si allontana. Le riprese finiscono ed è un sollievo per tutta la troupe. Ma non per Harold Ramis. Murray non rispose mai più alle sue telefonate. «Sono affranto, confuso e tuttavia non sorpreso dal suo rifiuto» disse a sua figlia che anni dopo scrisse in un memoir i retroscena di quella lite. Intanto il film esce in sala e ha un grande successo tanto da entrare nel gergo popolare che oggi identifica come “giorno della marmotta” quei momenti ripetitivi che ci tocca sopportare. Nel 2014 le condizioni di salute di Harold Ramis, affetto da una rara malattia, precipitano. Non può più alzarsi e trascorre le sue giornate su una sedia a rotelle. Un giorno, di buon mattino, qualcuno bussa alla sua porta con dodici ciambelle in mano scortato da una macchina della Polizia parcheggiata nel vialetto. È Bill Murray, chiede il permesso di entrare. Per due ore i due amici restano chiusi in una stanza a parlare, si riconciliano, si abbracciano, si salutano. Dopo qualche tempo Ramis muore. Quel film li aveva divisi per un tempo infinito e per spezzare l’incantesimo bastarono dodici ciambelle.