In questi luoghi trovi chi fugge, chi decide di restare, chi ha scelto di tornare e chi combatte. Ed è tra chi resta, chi torna e chi combatte che trovi una chiave di lettura a questa guerra. Le persone sono giustamente diffidenti e se non riesci ad entrare in empatia, altrettanto difficilmente ti racconteranno il loro pregresso. Nei villaggi, sui bus e in treno ho trovato alcune tra le storie più dense e più difficili da mandare giù.

Sono con una donna che preferisce rimanere anonima e dopo qualche racconto e qualche ora trascorsa in treno mi dice che lei è riuscita ad essere evacuata dal Donbass, ma che il marito è stato costretto ad unirsi ai “volontari russi”. Con le lacrime agli occhi mi dice di non avere più sue notizie e non sa se ne avrà più. Mi racconta che da quando i russi hanno preso il possesso di alcune zone della LPR e del DPR, migliaia di uomini sono stati deportati a Belgorod e costretti a partecipare alla guerra contro l’Ucraina e che anche le mogli di coloro che sono stati deportati per “arruolarsi come volontari” subiscono vessazioni.

Mi dice che dall'inizio della guerra contro l'Ucraina, decine di migliaia di residenti sono stati mobilitati con la forza nelle autoproclamate repubbliche del Donbass. Color che sono ad oggi definiti coscritti, non ricevono cure mediche, uniformi e persino cibo. I loro parenti, che osano fare presente dei problemi, sono perseguitati da quelli che la sig.ra chiama “Servizi Speciali”. Nel frattempo, le aziende, le miniere, le cave e tutto ciò che produce lavoro si è bloccato e oltre ai disastri causati dalla guerra, ci sono anche quelli economici.

Addirittura il marito di questa donna assieme a migliaia di altri uomini, avevano ricevuto la richiesta di registramento e arruolamento il 21 febbraio. Molti non l’avevano presa sul serio e in molti speravano che grazie al fatto di avere un lavoro registrato, le aziende avrebbero potuto chiedere per loro il non arruolamento. Purtroppo nonostante le richieste dei singoli ai propri dirigenti, le risposte non sono arrivate e gli uomini e alcune donne (con peculiarità lavorative specifiche come medici, ingegneri, giornalisti ecc) sono stati arruolati.

«Li vedevamo girare con lo sguardo perso nei vari punti di raccolta. Nell’arco di una giornata sono stati dotati di uniformi e di tutto ciò che poteva essergli utile. Hanno atteso un 1-2 settimane non ricordo bene e poi una notte sono stati fatti salire su un treno che li ha portati verso la Russia. Sono stati portati a Valuyki, nella regione di Belgorod e da lì ognuno ha ricevuto il suo compito e sono stati inviati in tutti i fronti, da Kherson, Kharkiv, Severedonetsk, Lisychansk, Mariupol. Da allora non ho più sue notizie, sappiamo solo che vengono trasferiti di villaggio in villaggio, ma niente di preciso. Sono utilizzati come carne da cannone».

Ma cosa fanno nello specifico chiedo. «Scavano trincee e poi non so!». Mi dice che non ha più visto suo marito e che di volontari che volevano davvero entrare in guerra contro l’Ucraina ce ne erano pochi. «Ma davanti alle minacce, alla paura e al rischio scegliamo di stare in silenzio e se non possiamo fuggire accettiamo il destino».

Ma non si può fuggire a questo destino: «Certo – mi risponde – o muori o paghi quasi 2mila dollari. In quel caso, non ti lasciano andare a casa, ma non ti fanno combattere e ti mettono nelle retrovie a cucinare o fare altro».  Scoppia a piangere, prova ad essere forte a mantenere un tono, ma è umana. Respiro profondamente ed esco dallo scompartimento. Mi sento di troppo è il suo dolore ed io non posso fare nulla se non raccontare una delle centinaia di migliaia di storie che mi è stato possibile ascoltare vivendo con loro.