Il testo prevede una ricognizione da parte delle aziende sanitarie e ospedaliere sul numero di camici bianchi trasferiti ad altre mansioni e anche visite annuali per verificare la sussistenza di patologie che inibiscono al lavoro
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Sette semplici articoli, per una legge a costo zero. Così il capogruppo del M5s Davide Tavernise intende combattere il fenomeno dei cosiddetti medici “imboscati”. Quei professionisti, cioè, assunti per ruoli sanitari che sono stati poi trasferiti ad altre mansioni, spesso amministrative, mentre le corsie sono desolatamente sguarnite dei camici bianchi. Una norma giusta per chi non può svolgere determinate mansioni per problemi di salute, ma che in Calabria è stata piegata a logiche anche clientelari dove la politica ha barattato esenzioni dal lavoro, trasferimenti, assegnazione di incarichi con consensi.
Nessuno sa con esattezza l’ampiezza di questo fenomeno. In un recente servizio delle Iene, si è parlato, ad esempio, di ben 1200 medici assunti nella sola Asp di Reggio Calabria, come confermato dal segretario provinciale della Uil di Reggio Calabria, Nuccio Azzarà, intervistato dall’inviato della trasmissione di Italia uno. Questo non vuol dire, ovviamente, che siano tutti imboscati. E lo stesso Azzarà, nel corso della trasmissione di Pasquale Motta “Dopo la notizia”, su LaC Tv, ha messo in guardia da generalizzazioni deleterie («Nel trattare materie delicate e complicate come la Sanità bisogna avere un approccio di tipo scientifico»), ma ha aggiunto di trovare quantomeno strano che il presidente Occhiuto abbia dichiarato che con lui questo tipo di pratica sia finita e non si sia immediatamente attivato per contrastare il fenomeno.
La proposta di legge
Nel frattempo ci ha pensato appunto Tavernise che ha depositato una proposta di legge, composta appunto da sette articoli. L’obiettivo come detto è quello di arginare la cronica mancanza di personale nelle aziende sanitarie calabresi recuperando il maggior numero di medici, infermieri e ausiliari possibili; dall’altra si vuole mettere fine alla cattiva prassi in base alla quale molti operatori sanitari vengono collocati in uffici amministrativi, evitando così di operare, per la qualifica per la quale sono stati assunti, in corsia.
Naturalmente Tavernise non vuole gettare il bambino con l’acqua sporca per cui la legge non si applica per le persone che sono state collocate altrove per problemi fisici o gravi patologie certificate. Ma anche su questo, sul fronte dei controlli, la legge introduce novità con l’istituzione di una visita medico collegiale, a cadenza annuale, per verificare la persistenza dell’impedimento. La legge prevede infine che chi abbia svolto per dieci anni mansioni diverse da quelle per cui era stato assunto non dovrà essere ricollocato nella mansione originaria. La ratio è evidente: ad un chirurgo che per esempio non abbia operato per tutto questo tempo è anche pericoloso mettergli un bisturi in mano.
Come funzionerà
La norma prevede che entro sessanta giorni dall’eventuale entrata in vigore della legge, le aziende sanitarie, le aziende ospedaliere e quelle universitarie compiano una ricognizione dei sanitari adibiti ad altre funzioni e poi, nei casi previsti, ordinino il rientro nei ruoli previsti. Sarà sempre cura delle aziende inviare all’assessorato per la Tutela della Salute il resoconto delle determinazioni assunte a seguito dell’attività ricognitiva, certificando l’insussistenza di ulteriori casi di svolgimento di mansioni difformi da quelle del profilo professionale di appartenenza. Insomma un giro di vite ad una pratica che, come ha detto lo stesso Occhiuto, è sedimentata da anni, ma che adesso la disastrata sanità calabrese non può davvero più permettersi.