È stata una giornata intensa quella che ha visto il commiato “dell’avvocato degli italiani” e l’insediamento del nuovo governo Draghi. L’epilogo di una strategia che difficilmente è solo farina del sacco dell’ex sindaco di Firenze
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Se i like fossero voti, Conte avrebbe già ipotecato le prossime elezioni politiche. Il suo post di addio a Palazzo Chigi ha raccolto in meno di 24 ore, al momento in cui scriviamo, più di un milione di “mi piace”, quasi 300mila commenti e oltre 126mila condivisioni. Numeri da record che confermano la polarità “dell’avvocato degli italiani”, come si autodefinì quando si insediò alla guida del Paese il 23 maggio 2018. Un misto di gratitudine, rimpianti e aperta stima impasta i commenti degli utenti, nella stragrande maggioranza positivi.
Il cinismo degli osservatori politici, gli sfottò di Dagospia che lo ha ribattezzato “il nulla con la pochette” (quando ci andava leggero), la presunta sottomissione alla strategia comunicativa di Rocco Casalino, sono cose molto lontane dall’ondata di affetto che, oggettivamente, ha accompagnato Conte all’uscita. Gli stessi dipendenti di Palazzo Chigi, dopo la cerimonia della campanella che ha segnato il passaggio di consegne a Mario Draghi, si sono affacciati alle finestre del cortile interno di Palazzo Chigi per tributargli un applauso di commiato che forse molto raramente è risuonato tra quelle mura.
Ne è consapevole Conte, che nel post dei record scrive: «Ho lavorato nel “Palazzo”, occupando la “poltrona” più importante. Ma tra i corridoi e gli uffici di Palazzo Chigi, anche alla fine delle giornate più dure e dopo le scelte più gravose, ho sempre avvertito l’orgoglio, l'onore e la responsabilità di rappresentare l'Italia. Sono grato a Voi cittadini per il sostegno e l'affetto, che ho avvertito forti e sinceri in questi due anni e mezzo. Ma vi sono grato anche per le critiche ricevute: mi hanno aiutato a migliorare, rendendo più ponderate le mie valutazioni e più efficaci le mie azioni». Parole di circostanza, certo, ma delle quali traspare la volontà di continuare a coltivare un legame viscerale con quello che un giorno potrebbe essere il suo elettorato. Sempre che non passi troppo tempo, che finirebbe inevitabilmente per disperdere il gruzzolo di consenso accumulato.
«Da oggi non sono più Presidente del Consiglio - continua Conte -. Torno a vestire i panni di semplice cittadino. Panni che in realtà ho cercato di non dismettere mai per non perdere il contatto con una realtà fatta di grandi e piccole sofferenze, di mille sacrifici ma anche di mille speranze che scandiscono la quotidianità di ogni cittadino».
Dopo un passaggio nel quale esalta «la buona Politica, quella con la P maiuscola», quello che ormai è l’ex presidente del Consiglio chiude con la promessa di un ritorno sulla scena politica: «La chiusura di un capitolo non ci impedisce di riempire fino in fondo le pagine della storia che vogliamo scrivere».
Insomma, difficilmente Conte tornerà alla carriera universitaria. Più probabile che cerchi di diventare il “federatore” di un Movimento 5 stelle che si avvia verso la scissione tra puristi e realisti. Potrebbe essere proprio Conte, infatti, il collante per tenere insieme quello che resterà dell’esperienza grillina, edulcorando il populismo antigovernativo in una miscela più digeribile per le ambizioni istituzionali.
Per ora, però, va a casa, accompagnato dalle lacrime di Rocco Casalino, in un’immagine inedita che è la plastica rappresentazione di quello che molti considerano il capolavoro di Matteo Renzi. Il quale, al netto di tutte le richieste condivisibili sul Mes e sul Recovery plan, ha sempre mirato, sin dall’inizio, a buttare giù Conte, considerato non all’altezza del suo compito, e non solo dall’ex sindaco di Firenze. Una strategia talmente efficace che sorge il sospetto che Renzi, nonostante il suo geniale intuito politico, non sia stato affatto solo nell’elaborare e portare a termine il piano.
L’avvento di Mario Draghi con lo sconfinato credito nazionale e internazionale di cui gode, la nascita di un governo di unità nazionale senza opposizione (salvo la Meloni) che deve gestire e spendere oltre 200 miliardi di euro, la lotta ad una pandemia che cambia pelle con le varianti del virus e minaccia di non andare più via, sono cose troppo importanti per credere che il futuro di questo Paese sia stato scritto solo da “first reaction choc”.