Dai timidi esordi alla finestra fino alle ordinanze suspense sulla scuola. Ascesa online di un facente funzioni che ha trasformato uno scranno da governatore in un palco televisivo della domenica dal tinello di casa sua
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In principio fu la finestra, il 10 marzo 2020, poltrona di casa e auricolari e controluce. Pochi follower sbadiglianti, una diretta senza intro da bar, poco appeal, neanche un filo di musica in sottofondo, una porta che sbatte in corridoio, una Folletto che si accende. Disastro.
Sembrava destinata all’estinzione precoce la vita da social influncer di Nino Spirlì, nonostante l’abbondanza di profili tra privato, pubblico e privatissimo. Il suo è stato un primo timido tentativo per toccare l’acqua e vedere se era calda per il bagno, un esperimento relegato, nel Watch di Facebook, sotto i tutorial su come piegare il lenzuolo matrimoniale con gli angoli e lo spot di Cathy Mitchell sulle padelle quadrate americane per i macaroni and cheese.
Lo Spirlì Show ha sfiorato la cancellazione anzitempo dai palinsesti dei tinelli calabri, che a lui preferivano i bagliori delle offerte di materassi Mediashopping, ma in fondo la politica è un po’ come una telenovela argentina, basta creare l’intreccio giusto e diventi Jorge Martinez.
Così Spirlì, cocciutamente, tra un'ancestrale «annacata al pecoro» e i piaceri della vita presidenziale («siamo a 4mila collegati, sono soddisfazioni») si è inventato il format giusto, rigorosamente homemade, a misura di cucinino a tre fuochi, con quel giusto pizzico di sacro da inginocchiatoio e piccola bottega degli orrori («i libri nelle bare non servono a nessuno», disse a gennaio riferendosi al presunto rischio che avrebbero corso gli studenti a scuola, roba da far impallidire anche Stephen King).
Mentre il sacro fuoco dell'improvvisazione caprina straripa nelle condivisioni, lui carezza col dorso della mano, che po esse piuma e po esse fero, i fedeli accoliti, promettendo loro che ci penserà lui, il presidente, a sistemare tutto per bene.
La sua soap opera convintamente alla buona, è diventata il caffè corretto da sorbire mentre si aspirano le molliche dalla tovaglia. E così, insisti oggi e insisti domani, lo share ha cominciato a salire.
Già a novembre dai 4mila e rotti il balzo a 20mila collegati. Un trionfo.
Il suo sogno di un Grande Fratello istituzionale, si è fatto realtà, e ora abita negli angoli delle cover a portafoglio dei cellulari con le bolle delle protezioni di plastica scollate. Lui si presenta abilmente come self-made man della porta accanto, l’evangelista con la voce flautata e la cucchiaia di legno per fare toc-toc in testa ai maleducati dissidenti (chiamati a turno «stupidelli», «scemini», «stelline», «buontemponi») che finiscono direttamente dal preside senza merenda (e senza Dad, se proprio vuol fargli male).
Dal basso della sua inquadratura preferita, gli ambienti dietro di lui si alternano come rulli di green screen, su cui scorrono gli svincoli di Pizzo e Marcellinara, il tutto accompagnato dalle solite caption: qui facciamo, niente chiacchiere, vicini alle gente eccetera... Quando cala la sera, ci si sposta nell’angolo di casa sua, adorno di madonne e icone e plaid, con la vetrina rustica che gli guarda le spalle, anche se la sua location preferita resta il sedile di un’auto sempre in corsa, perché c’è da fare, e bisogna darlo a vedere.
Ma in ogni format per famiglie, i bambini non possono essere messi in un angolo. Lo sa bene il suo mentore, Salvini, che appena può usa l’immagine di sua figlia e la getta nel mare dei cinguettii e dei post strappalike.
Quindi anche allo Spirlì Live c'è il momento Melevisione. A dicembre, il “maestro di sua diretta facebook”, pubblica con il titolo "Anche i bambini amano il presidente", l’accorato messaggio di un piccolo fan che lo ringrazia per aver permesso la pesca sportiva nei comuni di residenza e in quelli vicini. Uno di quei messaggi che ti aspetti da un piccolo di dieci anni, anche perché, diciamocelo, a quell’età a che vuoi pensare? Alla pesca sportiva, certo.
La vita social di Nino Spirlì, nei mesi, è diventata quello di un comprimario che è finito per caso nei titoli di testa, che passa disinvolto dal «sono ignorante sui posti aggiuntivi di terapia intensiva», all'interpretazione creativa dell'indice di contagio (per lui 1,09 è quasi 2), dal merchandising leghista stampato sulle mascherine, ai tour tipo Shakira, fino alle lettere al veleno scritte contro Muccino, prima autore dell’amore e poi becero traditore. Il regista, anche lui ipnotizzato da questa "Capitol" alla 'nduja, alla fine è tornato all'ovile, prendendosi il perdono da Spirlì che ha aperto la busta tra gli applausi del pubblico.
Con il maglione corallo di casa, le mani che sanno di Spic e Span e la felpa della Protezione civile che ormai ha fatto i pallini per i troppi giri in lavatrice, il presidente che fa le funzioni da presidente, aspira a diventare icona, spirito guida di una regione, più che governatore, colui che la mattina saluta, col buongiorno, l’Italia e Maria con gli occhi pieni di malinconia.
La sua terra promessa sono i campi sterminati delle pagine facebook, il suo alimento lo scrolling annoiato degli altri, le richieste della popolazione social che mangia, prega e litiga. Le sue gaffe rimbalzano e diventano trend topic (come l’allarme per il coprifuoco assoluto da zona arancione, annunciato come se ci puntasse contro la meteora di Armageddon e Bruce Willis fosse andato ad affettare salumi).
È un esercito di mozzarelline fritte e catene di sant’Antonio, quello in prima fila a lodare e perculare le voci dei ribelli che in diretta contestano che restano fermi un giro.
I follower, Spirlì, li chiama per nome e territorio di appartenenza: Giusy da Chiaravalle, Patrizia da Rota Greca, Tonino da Campana, Annamaria da Melicuccà, Domenicuccio. Nei mesi si è affinato, rinunciando ai pixel di bassa risoluzione ma sempre rimanendo costante alla sceneggiatura che lo vede il padrone di una casa in cui si entra togliendosi i calzini per non sporcare il cotto.
Lontani sono i tempi dei lanci televisivi di pochi secondi per dare appuntamenti in piazza «mi raccomando, non mancate!» (come fa Barbarella dal salottino impregnato della luce divina dei fari filtrati), o degli intervalli musicali di Mina, lungo la strada per la Cittadella, per dare il tempo ai seguaci di rimpinguare le file dei cuoricini.
Ora Spirlì ha capito come funziona la sua Isola dei famosi Vip. Gliel’hanno spiegato che non è il Vietnam, è il web, ci sono delle regole. Quindi annunciazione, annunciazione! del collegamento qualche ora prima, diretta live con l’inizio dedicato ai vari ciao, qualche complimento (meglio se è per lui), un labbruccio tremulo, e poi partenza di slancio quando l’audience è accettabile per anticipare i contenuti della puntata seguente, meglio se è la profezia di un’ordinanza last minute che aspettano con gli occhi fuori dalle orbite migliaia di studenti, famiglie.
Insomma Spirlì è diventato quello che sognava: il re per una notte, che mescola il sacro al padano, con un altare come sipario.
Ma lui non è la soubrette che dagli studi racconta la storia dei problemi economici dell’ex valletto degli anni 80 che ha la mamma alcolista e il figlio ingrato che l’ha lasciato in mezzo a una strada, Spirlì ha un copione fluorescente che pesca nell’interesse generale che la pandemia ha condensato in un ketchup di preoccupazione e lamentazioni.
Le ultime puntate sulla scuola, complice il rinvio delle elezioni causa pandemia, l’hanno riconfermato al timone della seconda stagione dello show. Per la terza si vedrà, quella è tutta da scrivere. Ma intanto che Spirlì vede il mondo crollargli intorno, lui saluta come Gloria Swanson in “Viale del tramonto”, sempre pronto per il suo primo piano.