Chiunque diventi segretario dovrà fare i conti con un’emorragia di consensi che ha portato il Partito democratico a un passo dal baratro. La mancanza di identità è il primo e maggiore problema da affrontare
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Nelle scorse ore la direzione nazionale del Pd ha licenziato, dopo accese discussioni, il regolamento del congresso, che entra ogni giorno di più nel vivo. Così in Calabria stanno scendendo continuamente i candidati alla segreteria. Nei giorni scorsi è venuto Stefano Bonaccini, tre giorni fa Paola De Micheli, venerdì sarà la volta di Gianni Cuperlo. Nessuna notizia invece della Schlein.
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Chiunque, però, uscirà vincente da questa corsa a quattro dovrà poi portare un fardello pesantissimo perché il partito sembra aver subito un calo di credibilità nella gente davvero difficile da recuperare. I motivi sono diversi. Il principale forse è che in questi anni non c’è stato un significativo cambio di classe dirigente, piuttosto si sono visti gli stessi attori recitare diverse parti in commedia, uomini buoni per tutte le stagioni nonostante le sconfitte elettorali fioccassero una dopo l’altra. Un “vizio” che sembra ripetersi anche in occasione di questo ennesimo congresso rifondativo del quale però si vedono aggregazioni di gruppi attorno a questo o quel candidato ma senza l’ombra di un progetto complessivo. E’ il complicato tema dell’identità perduta di un partito che comunque conserva uno zoccolo duro di elettori che possiamo quantificare attorno al 15/16%. Ma al di fuori di queste percentuali a chi si rivolge il Pd? Come interpreta le esigenze delle nuove classi sociali? Cosa intende fare sul terreno delle politiche sociali?
Domande a cui dovranno rispondere gli aspiranti segretari ed anche con una certa urgenza perché i flussi elettorali parlano di una grande mobilità dell’elettorato che vota soprattutto chi riesce a dare risposte alle sue istanze (vedasi reddito di cittadinanza per il M5s). Invece l’impressione è che il Pd si rivolga ormai ad un elettorato composto da impiegati pubblici, pensionati, persone ad alto reddito. Lo dimostra anche l’andamento del tesseramento. Sono ormai lontani i fasti dei bei tempi quando il Pd aveva oltre il milione di iscritti, adesso le cifre si aggirano sui 70mila massimo. Il rischio quindi è quello di voler rappresentare un popolo che in realtà non c’è più, è andato verso altri lidi politici o si è rifugiato nell’astensionismo.
Per recuperare quel popolo forse ci sarebbe bisogno di maggiore iniziativa politica. I partiti non possono vivere di riunioni, statuti ed elezioni dei suoi organi. Occorre proporre un tema di generale interesse, meglio ancora più questioni capaci di eccitare curiosità e addirittura passione, indicare i mezzi per affermare una soluzione, uno spazio di coinvolgimento degli altri. Bisogna far capire agli elettori che dietro il nome c’è un progetto. Questo vale per tutto il Paese ma a maggior ragione per la Calabria dove da anni si assiste ad una sorta di metronomo politico: cinque anni al centrodestra e poi cinque anni al centrosinistra. Ma i calabresi, o una qualsiasi persona che legga un giornale locale in Calabria, sono davvero in grado di percepire la differenza se la Regione è governata dal centrodestra o dal centrosinistra? Se tutto si risolve in una gestione, più o meno clientelare a seconda del periodo, del potere cosa spinge un cittadino a scegliere uno schieramento piuttosto che un altro?