«Vi assicuro che i fondi li metteremo a terra costi quel che costi, modificheremo le parti che non vanno bene, privilegeremo il profilo strategico, contratteremo con l’Unione Europea, faremo le norme necessarie a superare le lungaggini e le difficolta degli enti locali. Se qualcuno vuole rimanere a guardare vorrà dire che quando avremo terminato avrà imparato una lezione». Giorgia Meloni tranquillizza così sui ritardi del Pnrr, parlando questa mattina all'assemblea generale di Assolombarda.

Meloni ammaina la bandiera dell'antieuropeismo  

Si dice pronta alla mediazione in Europa, lei che aveva fatto dell’antieuropeismo una delle sue bandiere da campagna elettorale, la sovranista che ha capito che da premier i rapporti con le istituzioni europee vanno tenuti tranquilli e non buttati all’aria. E che a tenere il piede in due scarpe, quella della destra presentabile e rassicurante e quella dei sovranisti alleati di sempre Orban e Morawiecki ci si può fare molto male.

Loro, che hanno risposto picche alla mediazione di Meloni per conto dell’Europa sull’accordo per la redistribuzione dei migranti, sono solo l’ultimo esempio del fatto che per contare in Europa non puoi portarti dietro la zavorra sovranista e che il tuo, di sovranismo, finisce dove inizia quello di Ungheria e Polonia.

Premier di lotta e di governo

Sempre sospesa tra i toni da propaganda che usa in patria e l’atteggiamento istituzionale che tiene al di là delle Alpi, Meloni deve anche pensare all’appuntamento elettorale del prossimo anno: le elezioni europee, orizzonte che sembra lontano ma sta già facendo scricchiolare la maggioranza e sta segnando l’allontanamento sempre più evidente dalla Lega di Matteo Salvini, che a Meloni vuole soffiare proprio quella parte di elettorato che rimpiange l’antieuropeismo di Fratelli d’Italia.
Meloni vuole occupare uno dei posti che contano e la fedeltà di Salvini alla francese Le Pen è un ostacolo.

Il sogno di allearsi con il Partito popolare europeo

La premier italiana, presidente dei Conservatori europei, sogna la coalizione con il Partito Popolare, principale gruppo del Parlamento Europeo. Qui, per Identità e Democrazia, gruppo in cui siedono Salvini e Le Pen con l’estrema destra di Alternative für Deutschland (Afd), non c’è spazio.

Il leader della Lega ha proposto agli alleati italiani di firmare un patto di unità per governare in Europa con il centrodestra unito, escludendo ogni collaborazione con i Socialisti e con i Liberali di Macron. «Nessuno escluso», con Le Pen, AfD e Orban.

Ma Salvini rema contro: «Ci hanno sempre attaccato»

E sull'idea di una alleanza tra Popolari, Conservatori e i Liberali di Macron, Salvini risponde: «Sorprendente auspicare un'alleanza con chi ci ha attaccato. Sono certo che tutti i partiti della maggioranza, a partire da Fratelli d'Italia e Forza Italia, condividano l'obiettivo. L'unità delle nostre famiglie politiche, che hanno solide radici valoriali comuni, va costruita a ogni costo: è una delle eredità di Silvio Berlusconi».

Tajani fa fronte comune con Meloni

Ma anche Antonio Tajani gli risponde picche. «Per noi è impossibile fare qualsiasi accordo con AfD e con il partito della signora Le Pen» ha detto il ministro degli Esteri «Io personalmente ho dato vita, quando sono stato eletto presidente del Parlamento europeo, a un accordo tra Conservatori, Popolari e Liberali. Quello è l’accordo sul quale puntare. Saremo lieti di avere la Lega parte di una maggioranza, ma senza Le Pen e senza AfD». E lo sgambetto di Salvini a Meloni è diventato lo sgambetto di Tajani a Salvini.
L’alleata Giorgia non c’è più, ora c’è la presidente del Consiglio che in Tunisia a parlare di migranti ci va con Ursula von der Leyen e l’olandese Mark Rutte.

Distanti anche sul Mes 

Qualche giorno fa Salvini ha dovuto incassare anche la sconfitta della sua linea sul Mes, sulla discussione del quale il Governo ha chiesto una proroga di 4 mesi, non 1 anno o addirittura sine die come chiedeva la Lega. Anche qui l’hanno spuntata i moderati e se Salvini continua a sostenere che il Mes non si deve approvare «né ora né in futuro», è proprio il suo ministro dell’Economia a remargli contro. Quel Giorgetti europeista che ha mandato in Parlamento un documento tecnico in cui i tecnici del Ministero dell’Economia smentiscono anni di propaganda sovranista sul Mes.