Crisi da Covid o meno, in Calabria il lavoro è sempre stato poco. Molti di più, invece, i calabresi che sperano di trovarne uno grazie a qualche conoscenza politica, meglio ancora se è un parente a poter dare una mano.

 

Dalla Regione però, un tempo paradiso ufficiale del familismo, pare stia arrivando il primo esempio di “parentopoli al contrario”, con protagonisti i fratelli Romano e Francesco Pitaro. Il primo, giornalista, è nell'Ufficio stampa del consiglio regionale da una trentina d'anni ormai. Ne è stato il vice-capo, lo guida adesso in prima persona ed è pure direttore responsabile di Calabria On Web, il magazine che l'ente pubblica su internet.

 

Il secondo (più giovane), invece, è approdato in Aula Fortugno soltanto a febbraio, eletto tra le file dei callipiani di “Io resto in Calabria” ma trasferitosi armi e bagagli nel gruppo Misto (per adesso è l'unico componente, con i benefici da capogruppo che ne conseguono) poco tempo dopo.

L'Ufficio stampa diventato struttura speciale

Fino a qualche anno fa, in casa Pitaro sarebbe stata festa grande, coi due fratelli a beneficiare dei lauti stipendi che la Regione conferisce loro senza nemmeno bisogno di giustificarsi di fronte ai malpensanti, visto che Romano lavorava già lì da molto prima del successo alle urne di Francesco.

 

Le cose, però, sono cambiate qualche anno fa e adesso il giornalista rischia di dire arrivederci al suo impiego fino al 2025, quando dovrebbe concludersi il mandato elettorale di suo fratello. A stabilirlo è stata la stessa Regione qualche anno fa, con una norma che, a giudicare da quanto accaduto da febbraio ad oggi, pare aver dimenticato.

 

L'Ufficio Stampa, infatti, un tempo era una struttura burocratica, ma dal 1996 con la legge regionale 8 è diventato una struttura speciale.

Vietati gli incarichi ai parenti dei consiglieri

Cosa significa? Che chi ci lavora – a prescindere se sia un dipendente interno, che poi a fine consiliatura con la scadenza dell'incarico fiduciario tornerebbe al precedente impiego nell'ente, o un nominato – ha un contratto che può durare al massimo quanto il mandato del consigliere (nel caso specifico il presidente del consiglio regionale) che gli ha affidato quell'incarico.

 

A una condizione però, stabilita quindici anni fa proprio per porre un freno alle nomine di parenti dei politici nella Cittadella: un'altra legge regionale, la numero 16 del 2005, specifica che nelle «strutture speciali, comprese quelle dei Dirigenti Generali, nonché all’Ufficio di Gabinetto, non può essere utilizzato chi […] sia coniuge, parente o affine entro il terzo grado di consiglieri regionali e di titolari di strutture speciali».

 

L'inequivocabile diktat, si diceva, pare finito nell'oblio. Tant'è che basta visitare la pagine web dell'Ufficio Stampa per trovare tra i dipendenti proprio Romano Pitaro. I legami di sangue che gli impedirebbero di lavorare lì per i prossimi cinque anni? Ignorati finora, con gli stipendi che continuano ad arrivare nonostante dal 17 febbraio suo fratello sia diventato ufficialmente un consigliere regionale. La sospensione dall'incarico che sarebbe dovuta scattare quello stesso giorno? Non pervenuta.

Il silenzio della Regione

Nei corridoi della Cittadella si mormora che il Pitaro politico abbia detto di non voler sapere nulla della vicenda, problemi per (e con) il fratello non ne desidera. La nomina del Pitaro giornalista, d'altra parte, è questione che compete a Mimmo Tallini. Lui ufficialmente non ha ancora emanato alcun atto a riguardo, ma pare abbia già chiesto all'Avvocatura un parere su come comportarsi. I legali dell'ente dovrebbero anche chiarirgli se Romano abbia diritto o meno a un'indennità di funzione che ha richiesto come caporedattore.

 

Con l'elezione di suo fratello minore, il maggiore dei Pitaro rischia però di non prenderla e di dover lasciare, anzi, (seppur temporaneamente) il suo posto nell'Ufficio Stampa della Regione. Basterà a sfatare il mito dei parenti dei politici sistemati nella pubblica amministrazione?