Non sappiamo se la classe operaia andrà mai in Paradiso. Di certo, nell’immanente, non va ad iscriversi al principale partito progressista italiano ovvero il Pd. Questo è il risultato di una ricerca condotta da Eugenio Marino, calabrese originario di Caccuri ma da anni residente a Roma dove ha lavorato a lungo come funzionario del partito occupandosi soprattutto dei temi internazionali.

Con la segreteria Letta, Marino è stato nominato responsabile dell’organizzazione per il Sud e le Isole. Per prima cosa ha pensato bene allora di effettuare una mappatura minuziosa del partito nelle otto regioni del Meridione a partire dal patrimonio, il numero di circoli, l’anagrafe degli iscritti. La sua idea era quella di effettuare una fotografia dell’esistente per studiare poi eventuali soluzioni alle debolezze strutturali del partito in modo da essere pronti per la prossima campagna elettorale. Le elezioni anticipate prima e l’improvviso congresso del Pd poi gli hanno fatto lasciare il lavoro a metà, ma la fotografia scattata al partito nel Sud offre moltissimi spunti di riflessioni.

Chi sono i dirigenti Pd

Innanzitutto i numeri. Sono 1969 i dirigenti meridionali del partito. A tutti è stato sottoposto una sorta di questionario per conoscere il titolo di studio, la professione e il lavoro svolto, l’inquadramento nel pubblico o nel privato, il lavoro di concetto o manuale. È stato possibile ottenere i dati (non sempre completi) relativi a soli 1026 dirigenti, ossia il 52,1%. Ma Marino dice che in tutti i dati c’è una omogeneità di trend che rende i dati abbastanza solidi.

La prima è che la grandissima parte del gruppo dirigente del Pd nel Sud Italia, ossia 770 iscritti (pari all’75% del totale), è in possesso di una laurea; 213 iscritti (pari al 20,7% del totale) hanno il diploma e solo 6 iscritti (pari allo 0,5% del totale) hanno conseguito solo una licenza media o elementare. Il 3,6% non ha fornito il proprio titolo di studio. Tra di essi, la grande maggioranza, pari a 442 iscritti (ossia il 43% del totale) è formata da lavoratori dipendenti; 298 (pari al 29% del totale) è formata da lavoratori autonomi e/o liberi professionisti. Il 29% di essi non ha fornito una risposta sul settore di lavoro.

Tra i 442 lavoratori dipendenti, poi, ben 332 (ossia il 31,3% del totale) è composto da lavoratori dipendenti del settore pubblico. Tra i dirigenti locali non lavoratori (81 in tutto, pari all’7,8% del totale), vi sono solo 15 studenti (1,4% del totale), 6 disoccupati (0,5% del totale), 4 casalinghe (0,3% del totale) e 56 pensionati (pari 5,4% del totale).

Ma la parte più interessante della ricerca riguarda proprio le figure professionali dei dirigenti locali: 190 dirigenti (pari al 18,5% del totale), sono avvocati, cui seguono, largamente distanziati, i docenti dei vari livelli di insegnamento, che sono 120 (pari al 11,6% del totale) e i medici, che sono 67 (pari al 6,5% del totale).

Tra i docenti, poi, va tenuto presente che 32 (pari al 3,1% del totale) sono solo docenti e ricercatori universitari e 88 (pari al 8,5% del totale) si dividono tra tutti gli altri livelli di istruzione: scuola dell’infanzia, istruzione primaria, istruzione secondaria di primo e secondo grado. Sono poi 55 (pari al 5,3% del totale) gli imprenditori, 23 (pari al 2,2% del totale) i commercialisti e solo 3 (pari allo 0,2% del totale) gli operai, esattamente come gli infermieri e i farmacisti.

Da questi dati pare che il Pd sia poco attrattivo proprio per le fasce che intende rappresentare ovvero giovani e ceti più deboli. «C’è una sotto-rappresentanza dei lavoratori manuali talmente accentuata da configurare quasi una rimozione - dice Marino - Non esistono, di fatto, dirigenti (o parlamentari) locali che svolgano lavori manuali quali muratori o manovali in genere, operai portuali o metalmeccanici. Eppure, il lavoro fatto con le mani non è scomparso. Il territorio preso in analisi comprende un’area vasta del Paese dove vi sono importanti realtà portuali come quelle di Gioia Tauro, Palermo, Taranto o Napoli e grandi fabbriche come la Fiat di Melfi e altre con importanti e consistenti presenze di lavoratori manuali e crisi aziendali aperte, come l’Ilva di Taranto, la Wirlpool di Napoli (e diverse altre grandi aziende) che coinvolgono decine di migliaia di lavoratori (circa 40.000 in tutto il Sud) che dalla politica aspettano risposte, soluzioni».

Il problema secondo Marino non è tanto dire qualcosa di sinistra, ma essere credibili mentre lo si dice. «Noi non somigliamo abbastanza a ciò che diciamo e non facciamo fino in fondo quello che diciamo, ma questo avviene non perché non crediamo nelle nostre stesse parole, ma perché le nostre vite sono troppo distanti dalle vite di coloro sui quali le nostre parole (e le nostre politiche) dovrebbero produrre il loro effetto. I partiti politici hanno smesso da tempo di "formare" i propri gruppi dirigenti a ogni livello (ma soprattutto tra i ceti più svantaggiati), attingendo in modo sempre più massiccio ad élite altrove formate e selezionate. Qui nasce il tanto evocato scollamento con la società italiana. Qui si compie la profezia della “casta”».

Il compagno Vladimiro

Fra i soli tre operai che fanno parte del gruppo dirigente meridionale del Pd c’è anche Vladimiro Parise, operaio di 50 anni che fa parte della segreteria regionale ed è dirigente del partito a Casali del Manco. Siamo nella presila cosentina, zona storicamente rossa. Qui venne a nascondersi Pietro Ingrao per sfuggire ai fascisti. Da qui, su impulso di Fausto Gullo e Pietro Mancini, partirono le grandi lotte dei braccianti agricoli. Lui ha il destino impresso nel nome. Il suo papà che ha fatto per anni il minatore a Marcinelle in Belgio, teatro di una delle più grandi tragedie sul lavoro del secolo scorso, ha voluto chiamarlo con il nome di un suo mito: Vladimir Il'ic Ul'janov, ovvero Lenin.

Parise che lavora per una società di raccolta rifiuti a Montalto Uffugo è cresciuto a pane e politica ed ha fatto tutta la trafila dal Pci, al Pds, Ds fino al Pd. Adesso sta conoscendo il suo quarto d’ora di notorietà. Intervistato da media e tv nazionali, prova a sfruttare la situazione per fare quello che ha sempre fatto ovvero politica. Così dalla ribalta nazionale ha accusato il partito di essersi imborghesito. Anche nel suo comune, ad esempio, ha fatto il segretario del circolo per dieci anni. Quando ha smesso è stato sostituito da un avvocato.

«Tanti colleghi e tanti ragazzi non votano più per il Pd - ha detto a Repubblica - ma per Lega, Fratelli d’Italia e M5s. La sezione a Casali del Manco è di nostra proprietà, ma spesso è tristemente vuota. Ricordo che mio padre, che lasciò scuola dopo la quinta elementare, ci trovò i libri che non aveva avuto a casa e trovò nella sezione le risposte alle domande che lo tormentavano».

A La7 invece, Parise ha detto che «il 25 settembre scorso non abbiamo perso le elezioni, ma abbiamo perso proprio la sinistra. Oggi non abbiamo un problema di nomi o programmi, ma un problema di credibilità dei gruppi dirigenti. Ai quattro candidati alla segreteria dico di lasciar perdere cinema e teatri e di venire nelle piazze, a parlare con la gente, a spiegare loro la proposta del Pd e la differenza con questa destra».

Parise ci spera ancora in una rinascita del Pd «ma è davvero l’ultima possibilità che do ad un mondo a cui ho regalato l’anima e che da troppo tempo si è dimenticato di quelli come noi: i proletari moderni»