All’indomani del Consiglio regionale, in casa Pd è scattata la caccia al presunto inciucio, qualcuno fantasiosamente lo ha definito addirittura “accurduni”. I primi sospetti erano ricaduti su Ernesto Alecci, matricola del Consiglio regionale, reo di aver ricevuto qualche voto in più di quelli previsti sulla carta. Da questa ricostruzione, inizialmente, si erano lasciati influenzare anche alcuni autorevoli notisti calabresi. Il mio amico Massimo Clausi sul Quotidiano del Sud ha poi corretto il tiro, accendendo i sospetti, invece, sul neo vicepresidente del Consiglio regionale Franco Iacucci, il quale, come era ovvio, ha smentito sdegnosamente.

Sarà estremamente difficile che qualcuno confessi il misfatto, dunque, tutto rimarrà nel campo delle mere ipotesi. E, comunque, non crediamo sia un voto in più o un voto in meno, tra l’altro espresso in un consesso istituzionale a voto segreto, ad offrire la giusta interpretazione delle dinamiche politiche post elettorali. Al netto di tutte le puntualizzazioni, la ricostruzione offerta da Massimo Clausi, molto probabilmente, è quella più rispondente alla realtà.

Proviamo a ragionare sulla logica, piuttosto che sui binari interpretativi offerti dai soliti professionisti del depistaggio al servizio delle correnti interne, in queste ore molto attivi. Ernesto Alecci non aveva nessun interesse a ricercare accordi trasversali con pezzi di centrodestra. La sua elezione, infatti, non registrava particolari problemi. Non si può affermare la stessa cosa per Franco Iacucci. La sua indicazione a vicepresidente, infatti, aveva prodotto tensioni e mal di pancia sul fronte pentastellato. L’ex presidente della Provincia di Cosenza, per l’universo grillino, rappresenta ancora l’odiata nomenclatura piddiota. Un pregiudizio che resiste nelle file dei Cinque stelle, nonostante il mutato contesto nazionale.

È abbastanza plausibile, allora, che la fase nasconda una realtà diversa rispetto al mainstream sul presunto accurduni di Palazzo Campanella in versione democrat. I sospetti portano tutti a Cosenza e non solo. La fibrillazione mediatica di questi giorni è direttamente proporzionale alla crescita delle grandi manovre pre congressuali. Come abbiamo già avuto modo di scrivere, a commento dell’assemblea del Pd dell’8 novembre: ancora nessuno delle cordate calabre dal Pd ha ritenuto di scoprire le proprie carte in vista della partita per l’elezione del nuovo segretario regionale. Una partita ritenuta importantissima, soprattutto, in vista delle elezioni politiche del 2023 o addirittura del 2022 se le stesse fossero anticipate.

La candidatura di Sebi Romeo

L’unica candidatura in pectore, filtrata dalle indiscrezioni interne, al momento rimane quella di Sebi Romeo. Candidatura espressione di un patto forte tra una parte del Pd di Cosenza e quello di Reggio Calabria. La candidatura, però, non è stata annunciata formalmente in quell’assemblea, evidentemente qualcosa ancora non quadra negli equilibri da assestare per raggiungere l’obiettivo.

Tesseramento on line e a rilento complicano il percorso. Gli attori che tengono le fila della giostra, o per meglio dire del teatro dei pupi della politica democrat, al momento, sono Nicola Adamo a Cosenza e l’ex parlamentare Demetrio Battaglia in riva allo Stretto. A Cosenza la conquista di Palazzo dei Bruzi sembrava avesse spianato la strada alla vecchia volpe della politica cosentina per il controllo del Pd di Cosenza e anche del partito regionale. A rovinare la festa però, è stato l’arrivo di Francesco Boccia prima dell’annuncio della nuova giunta da parte del sindaco Franz Caruso. Il responsabile nazionale degli enti locali, nonché commissario del Pd di Cosenza, infatti, è piombato in città imponendo Maria Pia Funaro a vicesindaco e, di fatto, sbarrando la strada ad un adamiano storico come Damiano Covelli.

La tela da tessere per arrivare al controllo del Pd regionale, dunque, è diventata più complessa. La partita per Nicola Adamo è alta: riconfermare Enza Bruno Bossio al Parlamento. Una partita difficile ma non impossibile. Nicola Adamo non demorderà, anche perché è un giocatore di carte eccellente e conosce molto bene le regole dell’azzardo.

In riva allo Stretto, invece, a tessere la tela, è Demetrio Battaglia, ex deputato del Pd, il quale ha portato a casa la rielezione di Nicola Irto, evitando trappole e trappoloni. La strategia è sottile. In molti avevano immaginato che Nicola Irto si sarebbe messo in gioco per il ruolo di segretario regionale. La sua elezione a capogruppo del Pd a Palazzo Campanella, invece, nei fatti, lo mette fuori gioco per quel ruolo. È probabile che qualcuno gli abbia fatto intravedere la possibilità di un seggio in Parlamento in vista delle Politiche, e che il ruolo da capogruppo potrebbe favorirne l’ascesa. A lavorare a questa ipotesi sembra essere proprio l’ex parlamentare del Pd reggino, il quale pur definendosi un pensionato dalla politica attiva, sembra al centro di tutti giochi politici che si consumano in riva allo Stretto e non solo.

Sono in tanti a sostenere, invece, che non sia irrealistico immaginare che a Battaglia sia venuta la nostalgia dei giochi di Montecitorio. Lui ovviamente nega. E tuttavia, la sua smentita fa venire in mente la scena nel film "Il divo" di Sorrentino, allorquando Cirino Pomicino mette uno di fronte all’altro, Forlani e Andreotti affinché trovino un accordo per l’elezione del presidente della Repubblica: «Se c’è la candidatura di Andreotti, la mia non esiste», dice Forlani; «Se c’è la candidatura di Forlani, la mia non esiste», risponde Andreotti; a quel punto Pomicino conclude dicendo: «Ho capito, sono candidati tutti e due».

Battaglia e Adamo eminenze grigie dell’accurduni per il congresso

Battaglia è un sobrio democristiano, tessitore instancabile di trame dietro le quinte. Le sue parole bisogna soppesarle e interpretarle. L’asse con Cosenza potrebbe essere plausibile, ma è difficile che ciò avvenga senza una corposa contropartita politica. E oggi, qualcuno forse lo dimentica, è libero il seggio del Senato, considerato che l’attuale senatore Ernesto Magorno ha preso il volo con il politico di Rignano. L’elezione di Sebi Romeo, dunque, dovrebbe garantire questo impianto.

Se questa è la premessa, il tentativo di addebitare a Ernesto Alecci inciuci e accurduni vari è una fine strategia mirata a minarne la credibilità in vista del congresso regionale del Pd. L’elezione del sindaco di Soverato, infatti, potrebbe rappresentare un’insidia per il progetto che si starebbe coalizzando intorno a Sebi Romeo. Ciò significa che potrebbe rivelarsi non una semplice ipotesi la circostanza che il siluro alla credibilità di Alecci possa essere stato lanciato proprio dalle sagrestie delle due eminenze grigie del Pd calabrese, Adamo e Battaglia. Perché? Presto detto: il progetto di Romeo alla guida del Pd, in costruzione sull’asse Reggio-Cosenza, potrebbe incontrare non poche resistenze, se Alecci si rivelasse autonomo e riottoso verso i nascenti equilibri. Il neo consigliere regionale di Soverato, infatti, potrebbe rappresentare il catalizzatore di un dissenso ampio, ma allo stato frastagliato, verso la nascita di equilibri politici di questo tipo, considerato che non tutti, compresa Roma, sarebbero entusiasti del ritorno sulla scena di Adamo e Bruno Bossio.

Tutti gli indizi sulla velina avvelenata ai danni di Alecci sul presunto accurduni, dunque, portano in riva al Crati e di riflesso in riva allo Stretto. Con buona pace di Franco Iacucci, che può darsi che abbia avuto quell’aiutino dal centrodestra a sua insaputa. La partita si presenta difficile e piena di insidie. A Catanzaro poi ci sarebbe un’altra incognita: il destino di Antonio Viscomi, parlamentare uscente e anche lui alla ricerca della riconferma e pronto a vendere cara la pelle. La battaglia sarà lunga e i posti ristretti, considerato che il prossimo Parlamento nascerà con 345 parlamentari in meno. Adamo e Battaglia sono due abili strateghi. Il primo forgiato alla scuola del doroteismo democristiano. Il secondo alla dura scuola dell’organizzazione del consenso sotto la cappa del centralismo democratico del Pci. Sarà guerra senza esclusione di colpi, e se l’asse Crati-Stretto non sarà sicura di vincere, potrebbe valere quel vecchio detto che dice che “se la volpe non arriva all’uva dirà che è acerba”. Tradotto: qualcuno potrebbe chiedere di rinviare il congresso per la gioia di Stefano Graziano, il quale, magari a quel seggio lasciato libero dal sindaco di Diamante ci ha fatto più di un pensierino.