Il presidente della Regione Mario Oliverio da qualche ora è nuovamente libero. La Cassazione ha revocato, senza rinvio, l’obbligo di dimora del quale il Governatore era destinatario in conseguenza dell’indagine “Lande Desolate”. In sostanza, la Cassazione ha ritenuto abnorme il provvedimento cautelare che aveva colpito il Presidente della Giunta e ne ha revocato l’esecuzione.
Chiaramente il Processo rimane in piedi e, nel caso il Gup della Procura del Capoluogo dovesse ritenere valido il coinvolgimento di Oliverio nel procedimento, egli potrà difendersi nel processo dalle accuse mosse dalla Procura di Catanzaro. L’inciso è doveroso per dare completezza all’informazione. Il nocciolo della vicenda sta tutto qua.

 

Fin dall’inizio, dopo la lettura degli atti giudiziari che avevamo avuto modo di visionare, avevamo detto e scritto che il provvedimento cautelare a carico del Presidente ci sembrava eccessivo. Oggi che quel provvedimento è caduto, non possiamo che compiacerci delle determinazioni della Cassazione. Restiamo fermamente garantisti e legati alla massima di Francis Bacon pronunciata 4 secoli fa: “I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono”. Il tema sarebbe lungo. E tuttavia fermiamoci a questa considerazione riservandoci una riflessione più approfondita sul tema. Ciò, per evitare di buttare tutto nella solita e sterile caciara italiana della contrapposizione garantisti/giustizialisti.
Ritorniamo ad Oliverio. I suoi collaboratori in queste ore stanno utilizzando questa vicenda per tentare di ridare al Governatore una verginità politica che, come tutti sanno, Oliverio aveva perduto ben prima della vicenda giudiziaria che lo ha colpito. Il tentativo di cucire addosso al Governatore il vestito della vittima, infatti, assume, almeno da questo punto di vista, caratteri assai grotteschi. Il tenore delle reazioni di coloro che da quattro anni sono considerati i componenti di un disastroso e prepotente cerchio magico, invece, per certi aspetti risultano gravi e inquietanti, molto di più gravi, a nostro avviso, del seppur ingiusto provvedimento cautelare. Sentire dame bianche e dame rosse, minacciare i presunti denigratori e oppositori del Presidente, evocando il ritorno del lupo: “Il lupo è tornato libero e adesso va a caccia…“, provoca un certo disgusto. Affermazioni sciocche, nelle quali, in pratica, si preannuncia la vigilia di una stagione di vendette e di purghe. Un quadro che definire degradante è dire poco. Ancor più gravi, le dichiarazioni di una parlamentare del Pd, a lungo componente della Commissione Antimafia, la quale accusa sostanzialmente la Procura di Catanzaro e, quindi, Nicola Gratteri, di aver agito su commissione. Insomma il Procuratore antimafia di Catanzaro sarebbe una sorta di killer che avrebbe colpito il Governatore su mandato di qualcuno. Agghiacciante. Tutto ciò rende ancor più plastica la drammatica e tragica perdita del senso della realtà di un ceto politico ormai allo sbando, ma che continua a mantenere intatta la sua arroganza, il quale non vuole prendere atto di essere ormai finito, spazzato via dallo tsunami elettorale del 4 marzo del 2018 che in Calabria è stato molto più devastante che altrove e non solo.

 

Un gruppo di potere, quello abbarbicato intorno alla difesa dell’esperienza di Governo di Oliverio, un cerchio magico che ha estromesso tutti, il quale ha immobilizzato l’azione amministrativa, ha resettato la politica, annientato il Consiglio regionale, polverizzato la maggioranza e distrutto la credibilità della sinistra. Altro che primavera interrotta da Nicola Gratteri. L’inchiesta “Lande Desolate” non è scandalosa per i suoi risvolti giudiziari, per i suoi presunti reati e, dunque, per i suoi presunti errori giudiziari. No, l’inchiesta, è scandalosa perché ha messo a nudo una classe dirigente che si è trasformata in un convitato di pietra, cosi come è emerso attraverso le intercettazioni. Le telefonate alle imprese coinvolte, le pressioni ai dirigenti generali, da parte proprio di alcuni di coloro che oggi rilasciano dichiarazioni che hanno il sinistro obiettivo di delegittimare il lavoro di Gratteri, degli oppositori a Oliverio e delle voci critiche che da tempo denunciano il disastro di questo gruppo di potere. Tutto ciò, con la causa del garantismo, con i problemi delle derive giudiziarie, che pur esistono, con la riforma della Giustizia, non ha nulla a che fare. Anzi, per costoro, il garantismo sta diventando un alibi a buon mercato per autoassolversi dal dilagante malcostume politico che ha distrutto la Calabria. Un malcostume spesso al confine con la legalità.

 

E, d’altronde, nel vedere le immagini del degrado in cui versano l’Asp di Reggio Calabria, l’ospedale di Locri, l’ospedale di Polistena, la dilagante illegalità che dilaga nell’Asp di Catanzaro come quella di Lamezia Terme, ci porta a trarre amare conclusioni che, con il diritto non hanno niente a che fare. E, già, perché esiste certamente una criminalità penale che va perseguita con il codice e con la giustizia. Su quel tipo di criminalità nessun Magistrato si può permettere di sbagliare. E, tuttavia, c’è una criminalità di tipo politico, quella che ci ha consegnato una Calabria distrutta dall’immobilismo, dalla disoccupazione, dal clientelismo, dal sottosviluppo. Una Calabria senza sanità, senza trasporti degni, senza futuro. Una Calabria dalla quale i nostri figli sono in fuga.

 

Di fronte a tutto ciò, il garantismo peloso di chi, invece, farebbe meglio a tacere, appare come un garantismo a senso unico, quello che riguarda se stessi, i potenti, e non gli altri, rendendo così quel garantismo, molto più simile al pianto del coccodrillo piuttosto che a una battaglia al servizio del Diritto. Le minacce di quelle dame bianche che, intorno all’abusivo esercizio del potere derivante dalla vicinanza con il Governatore, stanno facendo razzie al dipartimento cultura, turismo, agricoltura appaiono paradossali. Forse, su tutto ciò, bisognerebbe stendere un velo pietoso. Forse per tutto ciò, in tanti, dopo le determinazioni della Cassazione, prima di puntare il dito sui presunti errori di Gratteri, avrebbero dovuto essere prudenti, sobri, rispettosi. Forse avrebbero fatto molto meglio a tacere per decoro delle istituzioni e per rispetto all’intelligenza dell’opinione pubblica.


Pasquale Motta