L’ex ministro dell’Interno critica l’approccio muscolare dell’inquilino del Viminale e avverte: «Così si rischia di vanificare il lavoro fatto, che ha ridotto gli sbarchi dell’80 per cento. Isolare l'Italia non ci aiuterà a risolvere il problema»
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«Fare i gradassi è l’ultima cosa che serve con i paesi del Nordafrica, perché se le partenze dovessero ricominciare in massa non ci saranno porti chiusi che tengano». L’ex ministro degli Interni, il reggino Marco Minniti, torna a confrontarsi a distanza con il suo successore, Matteo Salvini, criticando l’approccio muscolare del leghista al problema dell’immigrazione.
Intervenendo a Cartabianca su Rai3, Minniti ha definito «un azzardo politico e umanitario» la gestione da parte del Viminale del caso Aquarius, la nave con 629 migranti a bordo ora in rotta verso la Spagna dopo che le è stato impedito l’approdo in un porto italiano.
«Salvini - ha spiegato Minniti - dice che si sta limitando a seguire la mia linea, ma sinceramente non me ne sono accorto. Non c’erano ragioni reali per chiudere i porti. Non siamo in una situazione di emergenza. Anzi, gli sbarchi, grazie a chi c’era prima al posto suo, sono diminuiti dell’80 per cento. Dal primo luglio del 2107 al 31 maggio di quest’anno, sono arrivate 122mila persone in meno nel nostro Paese. Dunque non c’era nulla che potesse giustificare una scelta di questo tipo».
Motivi che per Salvini sono comunque anche politici, visto che la sua intransigenza ha colpito nel segno sollevando la questione a livello europeo. Un risultato che, però, secondo l’ex inquilino del Viminale non vale i rischi che comporta.
«Quanto accaduto ha messo in estrema difficoltà il nostro Paese - ha continuato Minniti - e solo l’intervento del governo socialista spagnolo ha consentito di trovare una via d’uscita. Non si vince o si perde con un gesto, quello di cui c’è bisogno è mettere in campo una strategia».
È la premessa sulla quale Minniti ha rivendicato i frutti del suo impegno come ministro: «L’Italia ha coniugato umanità e sicurezza, evitando di isolarci nello scenario internazionale. Il nostro è l’unico paese che fino a domenica scorsa non aveva nulla da farsi perdonare, perché in Europa non c’è nessuno che possa scagliare la prima pietra sul terreno del cinismo».
Infine, l’ex ministro Pd ha suggerito al governo Conte un cambio di rotta in politica internazionale, sottolineando che il primo obiettivo dovrebbe essere la riforma del trattato di Dublino. «È questo accordo, sottoscritto quando presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e al ministero degli Interni c’era Roberto Maroni, a rappresentare una vera e propria camicia di forza per l’Italia - ha rimarcato Minniti -. Il trattato di Dublino, infatti, prevede che i migranti restino nel paese dove sono approdati. Una clausola durissima per l’Italia, che oggi nessuno vuole modificare. È su questo che dovrebbe lavorare Salvini, ma se continua a considerare alleati strategici proprio gli Stati più ostili all’ipotesi di ospitare migranti sul proprio territorio, come l’Ungheria, e litiga invece con i paesi che dovrebbero aiutarlo a cambiare il trattato, non si va da nessuna parte».