La vittoria del tycoon di New York alle presidenziali in Usa inizia a produrre i propri effetti su tutto lo scenario internazionale e alle nostre latitudini, mentre Pd e M5s non riescono a costruire un’alternativa, la premier avrà di fronte a sé la grande opportunità di allargare i propri confini accogliendo valanghe di consensi dal centro e dal mondo che conta
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Da sinistra in senso orario: Trump, Conte, Meloni e Schleyn
Lo tsunami Trump inizia a produrre i propri effetti su tutta la politica internazionale, accelerando processi che erano già in corso, oppure recitando il “de profundis” rispetto a possibili alternative in embrione che avrebbero avuto necessità, per non abortire sul nascere, di una spinta esogena. In Germania è al capolinea il governo del cancelliere federale Olaf Scholz, socialdemocratico appannato, dimostratosi incapace di affrontare con decisione la pesante crisi economica che investe l'ex locomotiva tedesca. In Italia il cosiddetto “Campo largo”, già affondato alle regionali della Liguria, chiude miseramente bottega perché il partito di Giuseppe Conte non ne vuole che sapere di collocarsi, e peraltro in condizione subalterna, in una coalizione guidata dal Pd.
Non sarà sfuggito, ai più attenti osservatori, il consulto dell'indebolita Elly Schlein, oggi bacchettata finanche dalla simpatica attrice Sabrina Ferilli (rivelatasi capace di un'analisi più lucida rispetto a diversi dirigenti democratici), presso l'illuminato re del liberalismo europeo, Mario Draghi. Per un confronto su cosa? Molto probabilmente per ascoltare da una fonte autorevolissima le ragioni di una disfatta che richiederà anni di lavoro e, a mio personale avviso, un profondo rinnovamento di gruppi dirigenti. Starà sorridendo il tenace presidente della Campania, Vincenzo De Luca, tra i pochi leader dello schieramento perdente a non aver smarrito un contatto con il popolo, in una regione che sta manifestando segnali molto positivi su diversi fronti: turismo, agroalimentare ed export in testa.
L'Alleanza Verdi e Sinistra (Avs) potrebbe essere tentata dal cogliere la palla al balzo e immaginare, essendo il “Campo largo” naufragato peggio del Titanic, un'accelerata politico-programmata tale da far ipotizzare affermazioni elettorali a due cifre, ed erodendo quindi porzioni di sinistra del Pd. Rischiano una Caporetto, dopo decenni di anti-berlusconismo viscerale, le speranze di una parte di palude centrista volte a presagire scenari in cui attorno agli eredi del Cavaliere si potrebbero raccogliere frammenti di moderatismo decimale utili a comporre una nuova potenziale alleanza per contrastare la Meloni.
Ci troveremmo di fronte a un patto tra generali e colonnelli senza eserciti, perché buona parte dell'elettorato azzurro rigetterebbe l'ipotesi alla stregua di un violento mal di pancia e si sposterebbe repentinamente a destra. Silvio Berlusconi è stato un Donald Trump con caratteristiche ovviamente diverse, di formazione cattolica, e non poté che giocare prima di tutto in difesa in una fase politica italiana caratterizzata dalla “rivoluzione” del 1992. Il presidente della corazzata Milan fu intraprendente e tenace, ma commise l'errore di non costruire gruppi dirigenti molto più solidi e inattaccabili, puntellati da statisti, intellettuali robusti ed economisti. Qualche problema del genere ha anche Giorgia Meloni: tra la sua personale determinazione e compostezza e parte dell'apparato che la circonda, scorre talora un fiume con grande portata d'acqua. La politica sin dai tempi dell'antica Roma consiglia di selezionare i migliori, e non i più fedeli.
La fedeltà è una virtù solo se accompagnata da comprovate capacità, altrimenti rivela opportunismo oppure dannoso appiattimento acritico. Platone e il “calabro” Pitagora predicavano il governo dei filosofi, e così dovrebbe essere, pur con sugello costituzionale. Le prime mosse di Donald Trump sembrano andare proprio in questa direzione, con la designazione della portentosa Susie Wiles a capo di gabinetto della Casa Bianca. Talento da vendere e un secondo Ko all'idea che Donald Trump sia “misogino”.
In questi prossimi mesi Giorgia Meloni avrà di fronte a sé le più importanti carte da giocare di tutta la sua vita. Il probabile distacco dei popolari tedeschi dall'accordo con i socialdemocratici, che le darebbe ragione rispetto al suo lungimirante “no” a Ursula von der Leyen, potrebbe avvicinarla molto al Ppe: il Partito popolare europeo. Se fossi in lei accelererei sull'eliminazione della “fiamma” dal simbolo, non mi preoccuperei di poter perdere qualche voto a destra, ma mi appresterei ad accogliere valanghe di consensi dal centro e dal mondo che conta.
La politica italiana deve ricominciare a metabolizzare l'insegnamento del Secondo Dopoguerra, quando si chiuse un'era della storia. In questo scorcio finale di 2024 si chiuderà la Terza Guerra mondiale combattuta a macchia di leopardo. E, come accadde dopo la Seconda, si costruiranno equilibri inediti, avanzati, in grado di rimescolare gli schemi precedenti consumatisi fino alla rottura. Arriva il nuovo ordine mondiale anticipato da Putin! L'Europa ha bisogno di figure della levatura di De Gasperi, di Helmut Kohl, di Mitterand, come anche le frastornate socialdemocrazie dovrebbero comprendere. Urgono svolte vere, profonde reali, incisive, senza più voltare lo sguardo al Novecento. Il “Campo largo” più funzionale, dopo il Ciclone Trump, lo si potrà costruire sul fronte meloniano e non dall'altra parte dove, invece, bisogna finirla di immaginare che si possa campare di continui nevrotici appelli sui diritti civili, dopo aver dimenticato che esistono prima di tutto i diritti sociali.