Il consigliere regionale eletto sotto le insegne dell’ex sindaco di Napoli non ha mai aderito al suo movimento. Con Liberamente progressisti vuole rilanciare le quotazioni dell’opposizione di centrosinistra in Consiglio regionale. L’iniziativa di oggi a Vibo Valentia
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«Sono “fermo” ormai da un anno, dalle elezioni regionali praticamente. Ho condotto nel mio piccolo una battaglia puramente politica sotto le insegne del Movimento che fa capo a Luigi De Magistris con cui sono stato eletto, ma ora la fase è cambiata e purtroppo non vedo nessuno che voglia lanciare un segnale di scomposizione e ricomposizione di un quadro politico nuovo che sia alternativa ad Occhiuto e alle sue politiche».
Antonio Lo Schiavo sente di avere le mani libere per mettere in moto un meccanismo capace di ricomporre un’area progressista, e alternativa. D’altra parte non ha mai formalmente aderito al Movimento dell’ex sindaco di Napoli, che ora sembra concentrato più a consolidare Unione popolare a livello nazionale che a “sistemare” le cose in Calabria.
Per questo il consigliere regionale, anche dopo le elezioni politiche di settembre, fa spallucce. «Non so cosa accadrà – dice -. Se posso continuare a stare con de Magistris, se compatibile col mio sentire politico, bene, altrimenti sono libero», mostrando l’urgenza e la necessità di tracciare una nuova prospettiva attorno alla quale l’area progressista possa ritrovarsi per avviare un percorso comune.
Oggi pomeriggio, a Palazzo Gagliardi, a Vibo Valentia - promossa dal movimento Liberamente progressisti in collaborazione con il Coordinamento 2050 civico, ecologista e di sinistra di Stefano Fassina, e le associazioni Calabriattiva di Rende, La Strada di Reggio Calabria, Scenari globali e Pensiero libero - una rete di realtà e movimenti politici ha inteso promuovere un’occasione di confronto e dibattito dal titolo “La Calabria dopo il voto. Analisi e prospettive politiche”.
A muovere i fili è naturalmente lo stesso Lo Schiavo che è a capo del movimento Liberamente Progressisti, pur avendo un chiaro passato dem, essendo stato tra i candidati alle primarie di Vibo proprio col Pd, da cui però è uscito sette anni fa.
«L’immobilismo» che riscontra in Pd e 5 Stelle, è un po' la miccia, insieme a questo primo scorcio di opposizione consiliare, che lo ha spinto ad assumere l’iniziativa. Qualcuno sostiene che semplicemente Lo Schiavo stia cercando di ricollocarsi, deluso com’è dall’assenza di coordinamento e cooperazione all’interno dell’attuale opposizione a Palazzo Campanella, ma il messaggio che lui manda ai suoi colleghi è chiaro e suona un po' così: creare un’alternativa credibile è un’esigenza sentita da più parti, ed io sono in grado di mettere allo stesso tavolo tanto il Pd quanto il Movimento 5 stelle.
Un messaggio che dev’essere arrivato forte dalle parti del Partito democratico che proprio qualche giorno fa ha annunciato di voler incontrare tutte le componenti della minoranza, per «un maggiore coordinamento e raccordo dell’azione di opposizione». Un tentativo, forse tardivo, per non lasciare in mano ad altri (Lo Schiavo in primis) l’iniziativa per inaugurare una nuova fase. «Se il Pd, che ha un partito strutturato, vuole riaprire un dialogo tra le forze di opposizione a me sta bene – dice Lo Schiavo – ma l’importante è che le cose non rimangano così».
Le elezioni politiche hanno segnato uno snodo fondamentale per il centrosinistra, o comunque per le forze progressiste, che ancora una volta si trovano divise ed all’opposizione. Ma se uniti si vince, uniti si perde anche. Chi ha sbagliato cosa?
«È mancata, a mio avviso, la capacità di comprendere fino in fondo il reale rischio cui si andava incontro all’indomani della caduta del Governo Draghi. Essere andati divisi alle elezioni, ed avere portato l’estrema destra al governo del Paese è una grave responsabilità che difficilmente il nostro mondo potrà dimenticare e perdonare. Ovviamente il problema non è solo la mancata alleanza tra le forze progressiste, ma anche la debolezza identitaria del Partito democratico, sempre più incapace di connettersi con la vita reale dei cittadini, con le paure e le aspirazioni della società italiana, dilaniato dall’autoreferenzialità e dall’autoconservazione della propria classe dirigente. Il nuovo corso dei cinquestelle ha in parte attenuato il vuoto di rappresentanza su alcuni temi di sinistra, ripartendo dall’agenda sociale e non dall’esaltazione del tecnicismo del Governo Draghi, ma ovviamente questo non è stato né può essere sufficiente. Oggi siamo all’anno zero e serve una risposta radicale e nuova al governo delle destre».
È evidente che sia scontento di come stiano andando le cose dentro e fuori il Palazzo, ma qual è la posizione nei confronti di de Magistris e del gruppo consiliare?
«Ho conosciuto Luigi de Magistris alle scorse elezioni regionali. Mi ha subito colpito per la sua storia personale e politica. Tutti lo ricordano come magistrato, io l’ho ammirato come politico in grado di governare da solo e ridare dignità e bellezza ad una citta difficile come Napoli. Alle regionali in Calabria ha compiuto una vera impresa: mettere insieme storie e culture diverse in un grande polo civico, alternativo ai due schieramenti ed in grado di dare rappresentanza alla voglia esistente di cambiamento. Il risultato è stato davvero importante con oltre 130.000 voti presi. Oggi però siamo in una nuova fase: Luigi sta costruendo una nuova forza politica, io rimango invece senza alcuna tessera di partito e rivendico la mia storia legata da sempre ad una sinistra riformista e progressista. Credo che oggi non serva rinchiudersi in un recinto ideologico e politico, ma serva ricostruire un fronte ampio dove anche Luigi de Magistris, con la sua forza e storia personale, possa dare coerenza e radicalità di contenuti alla costruzione di un’alternativa di governo per questo Paese.
Per quanto riguarda il gruppo consiliare, con Ferdinando Laghi abbiamo costruito un rapporto prima umano e poi politico. Ci stimiamo a vicenda e siamo complementari su tanti argomenti. Il nostro gruppo si distingue, anche a detta di osservatori e degli stessi colleghi consiglieri, per propositività e qualità dei contenuti. Da parte nostra non vedrete mai portare avanti un’opposizione sterile o di facciata».
Cosa si intende oggi per area progressista?
«Progressista è chi ancora ha la capacità di riconoscere le diseguaglianze sociali ed economiche e di combatterle. Chi tiene la barra ferma sui valori costituzionali, sui diritti, e difende le conquiste democratiche su cui si basa la nostra società. Chi porta avanti ancora quei valori che hanno fatto della sinistra una forza politica propulsiva, votata alla giustizia sociale e alla crescita collettiva.
La cosa paradossale è che proprio dopo questa sconfitta potrebbe maturare un fermento di idee, di tante energie e potenzialità in circolo che hanno la necessità d’incontrarsi su un terreno comune, dialogare e trovare insieme un’unità programmatica che possa risultare credibile. Ma tutto ciò ancora non è partito, rimanendo soffocato da una discussione surreale tra gruppi dirigenti che non vogliono cedere il passo».
È chiaro che il riferimento nazionale alle elezioni politiche faccia capire che più di qualcosa non va dentro quest’area. Un po' come succede in Calabria, dove le opposizioni al presidente Occhiuto e al centrodestra, spesso si presentano sfilacciate, sulla stessa barricata ma con i soliti distinguo, a volte esprimendo anche un voto diverso per ogni gruppo consiliare… Come se ne esce, se se ne può uscire?
«Se ne esce solo in un modo, abbandonando gli interessi di bottega e prendendo finalmente atto che anche in Calabria dobbiamo rompere l’immobilismo delle forze progressiste, costruendo da subito, in Consiglio regionale ma anche nella società, un’alternativa al governo del centrodestra. Questa nuova via la possiamo percorrere solo con l’umiltà di chi ha la consapevolezza di essere minoranza e di doversi rimettere in connessione con la società calabrese, proponendo non lotte di correnti di partito ma discontinuità di uomini e contenuti. Assistiamo ormai da un anno ad una sequela di proclami e annunci da parte del presidente Occhiuto su tutti i dossier aperti: dalla sanità all’ambiente, dal lavoro alle infrastrutture fino ai trasporti. Nel frattempo la nostra regione non ha avuto sensibili miglioramenti nel diritto alla salute dei suoi cittadini, nella sua capacità occupazionale, nei collegamenti con il resto del Paese e del continente, nella qualità della vita delle persone. E potrei proseguire all’infinito. È su questi temi che va condotta una battaglia comune, serrata e senza esclusione di colpi, facendo comprendere a questa maggioranza che non ci si possono più permettere ritardi e incertezze ma che è ora di dare risposte vere ai cittadini».
L’iniziativa di lunedì prossimo, promossa dal movimento Liberamente progressisti in collaborazione con il Coordinamento 2050 civico, ecologista e di sinistra insieme ad una serie di movimenti, intende offrire delle “prospettive”. Ma a chi si rivolge?
«Serve a rompere il silenzio, anche in Calabria, sulla più pesante sconfitta della sinistra italiana. L’iniziativa parte spontaneamente da movimenti civici e soggetti politici che hanno intenzione di avviare un percorso di dialogo ed elaborazione di una piattaforma politica e programmatica basata sui diritti e sulle priorità reali dei calabresi: dal lavoro alla salute, dalla qualità della vita al contrasto allo spopolamento delle aree interne, dalle infrastrutture all’economia. Si rivolge ancora a chi vede nella sconfitta elettorale del centrosinistra l’opportunità per una seria riflessione non solo, e non tanto, sui motivi di tale disfatta ma sulla prospettiva di ricostruzione di un’alternativa basata su obiettivi chiari e idee realistiche, ricucendo quel rapporto interrotto con quelle fasce che, a un certo punto, non hanno più compreso il linguaggio e le scelte della sinistra e le hanno voltato le spalle».
Tra i partecipanti ci sono tanto esponenti del Partito democratico (Raffaele Mammoliti), quanto del Movimento 5 stelle (Riccardo Tucci), due partiti che si guardano, o fingono di guardarsi, in cagnesco. Come si fa a rendere efficace un dibattito che rischia di diventare la solita “occasione persa”?
«Ritengo, e lo dico da esterno a tali soggetti politici, che si tratti di due realtà che necessariamente debbano tornare a parlarsi. Quel campo largo che è poi sfumato alla vigilia delle elezioni ha ancora una ragion d’essere e anzi può acquistare nuovo vigore dalla comune battaglia contro le forze attualmente al governo. Penso però che questa ripartenza non possa ripercorrere strade già viste e battute: serve discontinuità di uomini e di idee, avviando un sincero processo di cambiamento. Poi, attorno ad una piattaforma basata su contenuti e prospettive comuni, si potrà essere più credibili agli occhi dei cittadini».