E adesso cosa succederà in Calabria? La variegata compagine del no, con Forza Italia in testa, lo ha sbandierato per tutta la campagna elettorale: il no nella nostra Regione si carica di un significato politico ulteriore: la bocciatura del governo regionale di Oliverio che si è schierato con convinzione per la riforma della Costituzione voluta da Renzi.


Forse la traslazione in questi termini del risultato di una consultazione referendaria su un quesito di natura costituzionale è eccessiva.
Di certo, però, per Mario Oliverio e i suoi non si potrà certo parlare di scelta politica azzeccata. Dopo aver passato i primi due anni della legislatura a combattere il renzismo e a scontrarsi con il governo nazionale, soprattutto sui temi della sanità e del commissariamento, il presidente della giunta ha cambiato direzione.


Anche nella precedente tornata referendaria, quella sulle trivellazioni, il governatore e la sinistra del Pd si erano schierati in maniera contraria alle indicazioni del premier e della sua corrente esprimendosi per il no. Anche in quel caso registrando una sconfitta, considerato che la consultazione referendaria non aveva raggiunto il quorum.


Stavolta il giudizio degli elettori è ancora più grave. Intanto perché sulla decisione del presidente della giunta pesa il dubbio di una decisione arrivata in relazione, o anche in relazione, all’accordo raggiunto sulla gestione della sanità. Nella legge di stabilità, non senza un mare di polemiche interne alla maggioranza, è stato inserito un emendamento che rimuove l’incompatibilità tra la carica di commissario per il piano di rientro e quella di presidente della giunta regionale. L’emendamento “De Luca” per essere chiari, dal nome del governatore della Campania che si trova nella stessa situazione di Oliverio e che aspirava ad avere la gestione diretta della sanità. Una mossa da “mercanti del voto” che non ha pagato e che ha irritato i calabresi stufi di essere trattati come la tribù con l’anello al naso. Più il governatore diceva che non si è trattato di baratto, più nell’elettorato cresceva la convinzione che invece fosse così.


Con il risultato paradossale che, adesso, anche quella norma rischia di essere spazzata via, dato che per la sua approvazione definitiva occorre la seconda lettura al Senato. E l’incertezza sull’esito finale è altissima dato che la manovra sarà sì approvata da questo governo come ultimo adempimento, ma con un premier che ha già annunciato le dimissioni.


Non solo. Oliverio e la sua corrente, quella sinistra democrat che in Calabria aveva una vera e propria roccaforte, con lo sbilanciamento pro Renzi di cui si è avuta plastica dimostrazione in occasione della visita del premier a Reggio Calabria per la chiusura della campagna elettorale, adesso può perdere terreno anche all’interno del partito. Inevitabile che la consultazione, che segna la vittoria di Bersani e D’Alema, cambierà gli equilibri interni a tutti i livelli.


E proprio a Reggio Calabria la delusione è cocente almeno quanto a Cosenza, provincia del governatore che il Pd, appena qualche mese fa, ha consegnato al centrodestra di Mario Occhiuto dopo una campagna elettorale suicida grazie, di nuovo, allo zampino di Renzi che tentava di imporre la candidatura di Lucio Presta, con l’avallo del pensiero debole della segreteria regionale dei democrat.
In riva allo Stretto, dove Renzi ha deciso di chiudere la campagna elettorale, si è registrata l’affermazione più alta del no in Calabria con il 68,5%.


Un autentico smacco per il Pd, considerata l’attenzione che il premier ha millantato per la città metropolitana, e per lo stesso sindaco Giuseppe Falcomatà, adesso alle prese con un complicatissimo rimpasto, chiamato a dare conto del proprio operato dopo due anni che, evidentemente, non hanno entusiasmato i reggini. Ed una bocciatura in piena regola anche per il segretario regionale Magorno che, proprio in occasione della visita del premier, aveva parlato di “orgoglio calabrese” per l’attenzione del governo nazionale. Per segnare un’altra delle uscite fuori contesto che hanno costellato la sua gestione.


La debolezza di Magorno, in realtà, costituisce l’unico paracadute, e piuttosto importante, che Oliverio si è saputo costruire molto scaltramente. Il patto d’acciaio suggellato con lui, renziano della prima ora, dopo anni di contrapposizione è stato il modo più semplice per provare a mettere in salvo la propria barca in caso di tempesta.


Ufficialmente, in questo momento, in Calabria non c’è un’opposizione di sinistra interna al Pd. Il che potrebbe rendere assai meno traumatico l’aggiustamento calabrese sia nel caso in cui Renzi dovesse procedere ad una dura riorganizzazione del partito, che in quello in cui dovesse cedere la mano e lasciare spazio ad un congresso anticipato.


Oliverio e Magorno, insomma, per un altro pezzo di percorso continueranno a camminare a braccetto per evitare di essere sbalzati via dalle scosse di assestamento. Ma proseguendo a navigare a vista, senza badare all’interesse dei calabresi ma solo a quello delle alchimie politiche legate a doppio filo alle poltrone, continueranno ad essere bocciati irrimediabilmente alle urne. E a dover cedere la mano. Così come è stato costretto a fare il premier che, forse solo adesso, capisce che gli italiani non lo stavano seguendo più da molto tempo.


Riccardo Tripepi